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A Lampedusa sbarcano sempre più palestinesi

03 novembre 2023 | 14.46
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Tra i migranti, soprattutto uomini giovani

Migranti a Lampedusa
Migranti a Lampedusa

Arrivano silenziosi, insieme con siriani, egiziani e libici. Spesso sono uomini, prevalentemente giovani, che viaggiano da soli. Senza famiglia. Partono soprattutto dalla Libia per sbarcare a Lampedusa. Dal giorno dell'attentato di Hamas, quando i terroristi hanno lanciato migliaia di razzi contro le città israeliane, sono circa 50 i palestinesi arrivati a Lampedusa. Il 7 ottobre sono stati uccisi più di 1.400 tra civili e militari israeliani. Sempre lo stesso giorno sono stati presi in ostaggio oltre 200 israeliani e stranieri, poi portati nella Striscia di Gaza.

Gli ultimi palestinesi sono arrivati a Lampedusa lo scorso primo novembre, quando poco dopo le 11.20 sono sbarcate 426 persone, tra loro anche minori e donne. Insieme con egiziani, pakistani, marocchini, etiopi e iracheni sono arrivati anche dei palestinesi, a bordo del peschereccio lungo 25 metri di colore blu. I palestinesi sono partiti dal porto di Abu Kammash, in Libia, la sera del 30 ottobre scorso.

Nei giorni precedenti, il 24 ottobre, sono arrivati dei palestinesi, insieme con siriani ed egiziani, da Zuara, sempre in Libia, da cui sono partiti il 22 ottobre. E, ancora, quattro palestinesi, arrivati il 17 ottobre a Lampedusa, sempre partiti da Zuara, in Libia. Così come da Zuara sono partiti i palestinesi arrivati il 15 ottobre, appena una settimana dopo l'attacco terroristico. Mentre i palestinesi arrivati il 13 ottobre a Lampedusa, cinque giorni dopo l'attacco, sono partiti da Sabrata, in Libia sempre. E altri da Zuara. "Si tratta prevalentemente di palestinesi in transito dalla Siria", spiegano dalla Croce Rossa Italiana, che gestisce l'hotspot di Lampedusa.

Ma i viaggi della speranza dei palestinesi non si sono mai fermati. Come quello di Uday Abdel Fattah Aref Ahmed, un ragazzo palestinese di 27 anni morto nel naufragio di Steccato di Cutro lo scorso 26 febbraio, in Calabria. Prima di partire per l'Europa, Uday, rimasto senza nome per più di un mese, aveva registrato un video. “Tanti familiari, tanti amici sono morti nella guerra in Palestina. Scappiamo dalla guerra, dalla povertà. La vita non si ferma per nessuno, anche se siamo addolorati per tutte le nostre perdite. La vita è breve, amatevi”, diceva. Uday era stato riconosciuto grazie a un documento, seppure tra mille difficoltà, per un errore nella trascrizione del nome. E da due connazionali superstiti, Ahmed di 31 anni e il nipote Mhamed di 19 anni che avevano viaggiato con lui sul ‘Summer Love’, partito dalla Turchia nella notte del 22 febbraio. Quel video oggi è il suo testamento 2.0. Uday viaggiava da solo. Era partito dalla Palestina per tentare la fortuna in Europa. Non voleva più vivere a Gaza dove rischiava ogni giorno la vita, tra “guerra e povertà”, come dirà lui stesso nel video mandato ai genitori prima di partire per l’Italia e che, guardato oggi, dopo la morte del giovane, sembra quasi una beffa. Nel video il ragazzo parla della guerra in Palestina dicendo che “nessuno muore dalla tristezza e dal dolore per la morte di un familiare” ma “viviamo con dolore e cerchiamo di andare avanti per cambiare la nostra vita e vivere felici in questa esistenza”. I suoi familiari lo avevano cercato per settimane. Poi il riconoscimento. Intanto, gli sbarchi a Lampedusa proseguono. (di Elvira Terranova)

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