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Istat, il collasso demografico del Sud Italia

07 febbraio 2023 | 18.57
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Nel 2030 i residenti nel Mezzogiorno scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei 20 milioni di abitanti

(Fotogramma)
(Fotogramma)

L’ultimo focus dell’Istat sui divari territoriali in Italia evidenzia come i ritardi del Mezzogiorno stiano aumentando i rischi di un eccessivo e non reversibile impoverimento demografico. Fra il 2011 e il 2020 si è registrato il primo calo di popolazione nella storia recente del Mezzogiorno (-642mila abitanti; +335mila nel Centro-Nord). A tendenze invariate, nel 2030 i residenti scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei 20 milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord (-5,7% e 1,5%).

La perdita di popolazione si concentra soprattutto nelle fasce d’età più giovani: nel Mezzogiorno, i residenti fino a 14 anni nel 2011 superavano i 3,17 milioni, scesi a 2,64 milioni nel 2020 (-16,9%), con una previsione al 2050 di 1,86 milioni di unità (poco più della metà del 2011). A ciò corrisponde un contestuale incremento del peso della popolazione anziana. Si prevede che intorno al 2035 l’età media della popolazione di Sud e Isole supererà quella del Centro-Nord, solo fino a pochi anni fa nettamente inferiore.

La fisiologica piramide demografica ne risulterebbe alterata, con un’erosione della componente giovanile, un peso crescente degli ultra-sessantacinquenni e una perdita progressiva nella popolazione in età da lavoro. Ciò potrebbe determinare il venir meno della funzione di serbatoio di popolazione attiva, assolta nel tempo da queste regioni a supporto delle aree più sviluppate del paese. Inoltre, si avrebbe un effetto negativo sulla capacità di creare reddito (data la contrazione di forza lavoro), un aumento dei bisogni di cura degli anziani, una contestuale riduzione della domanda di altri servizi pubblici e privati per la componente giovanile (educativi, ludico-ricreativi) e una tendenziale caduta del gettito fiscale, necessario per finanziare il welfare locale.

Gli esiti dei ritardi del Mezzogiorno stanno accentuando le fragilità della sua struttura socio-economica attraverso una sorta di “tsunami demografico”. Se non si riesce a porre un freno, le tendenze in atto possono condurre verso un’involuzione progressiva e non sostenibile del capitale umano di molta parte del Mezzogiorno.

Per quanto riguarda i movimenti interni, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta si rileva una ripresa di flussi extra-regionali consistenti, soprattutto lungo la tradizionale direttrice Sud-Nord (in prevalenza verso il Nord-est). Il picco a inizio Duemila si attenua leggermente nel quinquennio successivo, per poi aumentare di intensità per tutta la fase pre-pandemica. Riguardo alla popolazione generale, dal 2010 al 2019 i movimenti in uscita dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord hanno interessato nel complesso 1,1 milione di persone, con un bilancio negativo di oltre 500mila residenti.

I gap importanti nel valore della ricchezza prodotta, del livello d’istruzione e del tasso di occupazione dei giovani spingono a nuovi fenomeni migratori che restano una costante irrisolta e, a differenza dal passato, una minaccia per il futuro del Mezzogiorno.

Tali fenomeni, se non governati con urgenza, possono far incamminare il Mezzogiorno verso un declino radicale nella funzionalità e nella sostenibilità della propria struttura sociale.

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