"A noi non risulta che il generale" abbia avanzato richieste sul caso degli equipaggi dei pescherecci italiani sequestrati a inizio settembre a Bengasi, dice Michele Andreano
"A noi non risulta che Khalifa Haftar" abbia avanzato richieste sul caso degli equipaggi dei pescherecci italiani sequestrati a inizio settembre a Bengasi, in Libia. Lo ribadisce ad Aki - Adnkronos International l'avvocato Michele Andreano, incaricato dall'ambasciata libica a Roma di seguire il caso dei quattro libici partiti cinque anni fa da Bengasi e condannati in Italia come assassini e trafficanti di migranti nonché di seguire il ricorso in Cassazione di uno dei giovani con l'avvocato Francesco Turrisi di Catania. La loro storia si intreccia ormai da settimane con quella degli equipaggi dei pescherecci.
Andreano, che ben conosce la Libia e le sue complessità e che ha difeso tanti libici nelle carceri italiane, accetta di parlarne. E, "da uomo e da italiano", si impegna a "intercedere con tutti i suoi amici e colleghi a Bengasi per fare quanto possibile" per la vicenda dei pescatori di Mazara del Vallo.
"Ci risulta - ripete il noto penalista romano - che la Guardia Costiera libica ha intercettato due pescherecci a 35 miglia dalle acque libiche. Hanno sequestrato i pescherecci come sempre accaduto storicamente. Adesso faranno serenamente tutte le valutazioni del caso. E siccome la Libia è in stato di guerra, tutto il fascicolo è davanti al procuratore militare". La prima udienza è attesa a giorni.
"Sono stati fermati perché hanno violato leggi libiche - insiste Andreano - Non è che la Libia non abbia diritto a fermare chi sconfina nelle proprie acque territoriali".
Fonti bene informate in vista della prima udienza, attesa "a giorni", al tribunale militare anticipano che la difesa dei marittimi chiederà il dissequestro di uno almeno dei due pescherecci bloccati, la liberazione del suo equipaggio e il trasferimento del caso alla Procura ordinaria.
E' stato intanto depositato il ricorso per Cassazione dalla difesa di Abd Arahman Abd Al Monsiff, uno dei ragazzi libici partiti cinque anni fa da Bengasi sognando il calcio italiano e condannati in Italia come assassini e trafficanti di migranti nell'ambito di una storia - la cosiddetta 'Strage di Ferragosto' raccontata nel film 'Fuocoammare' - che si intreccia ora con quella degli equipaggi dei due pescherecci italiani sequestrati in Libia. "Ci sono nette contraddizioni nelle motivazioni che portano a una condanna così severa", dice ad Aki - Adnkronos International l'avvocato Andreano, incaricato dall'ambasciata libica a Roma di seguire il caso nonché il ricorso in Cassazione di Al Monsiff con l'avvocato Francesco Turrisi di Catania.
I giovani libici sono stati condannati a 30 anni di carcere per traffico di esseri umani e per la morte in mare di 49 migranti. La difesa considera "assolutamente infondate 13 motivazioni", ritiene "le sentenze di primo e secondo grado totalmente infondate per poter dichiarare una penale responsabilità con una pena così gravosa", dice il noto penalista romano.
"E' chiaro che in Libia si continua a usare la carta" degli equipaggi dei pescherecci italiani sequestrati il primo settembre al largo della costa libica "per reclamare la liberazione" dei quattro giovani libici partiti cinque anni fa da Bengasi e condannati in Italia come assassini e trafficanti di migranti. E "finché in Italia non si cambierà anche postura nei confronti del caso dei libici è difficile che ci possa essere una svolta nel caso dei pescatori", sostiene Claudia Gazzini, esperta di Libia dell'International Crisis Group (Icg).
Le due vicende sono state nuovamente accostate nelle ultime ore in dichiarazioni di un alto esponente delle forze al comando del generale Khalifa Haftar riportate in forma anonima dal sito di notizie emiratino 'Al-Ain'. "Quello che stupisce dell'Italia è che la posizione italiana sembra quella di non prendere in considerazione, quasi in modo automatico, la possibilità che questi libici possano in realtà essere innocenti", dice Gazzini ad Aki - Adnkronos International, convinta da sempre che il loro caso vada "rivisto".
Per la Libia sono "calciatori", non scafisti. "Non erano trafficanti professionisti o scafisti, erano atleti professionisti - ha più volte sottolineato l'esperta, che si è interessata al caso nel 2016 - Un po' sprovveduti". Poi cosa sia successo su quel barcone è un'altra storia. La cosiddetta 'Strage di Ferragosto' raccontata nel film 'Fuocoammare'. "Pensiamo veramente che Haftar possa fare tutto questo a difesa di veri e propri criminali e scafisti? Secondo me - dice Gazzini - non lo farebbe se non pensasse veramente che questi ragazzi sono detenuti in Italia con una condanna sbagliata".
Poi, osserva Gazzini, "non c'è dubbio che la situazione dei pescatori sia una questione politica, però al contempo lasciare la situazione così com'è e rimanere asserviti alle richieste di Haftar non tutela i pescatori in Libia né tantomeno le loro famiglie". "Nominare un avvocato libico - conclude - potrebbe almeno portare a un maggiore accesso e maggiori contatti tra le famiglie e i pescatori".