
L’11 dicembre 2022 Campiti ha aperto il fuoco uccidendo quattro donne, a processo anche l'allora presidente e un dipendente del Poligono
(di Assunta Cassiano e Daniele Dell’Aglio) Un centinaio di testimoni sentiti, quaranta parti civili costituite, oltre venti udienze celebrate, il video della strage mostrato in aula. A poco più di un anno dall’inizio del processo davanti alla Corte di Assise è attesa la sentenza per la strage di Fidene dell’11 dicembre del 2022 quando Claudio Campiti ha aperto il fuoco durante una riunione del consorzio Valleverde in un gazebo di via Monte Gilberto uccidendo quattro donne: Nicoletta Golisano, Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis. Un processo che vede sul banco degli imputati oltre all’autore della strage anche il presidente della Sezione Tiro a Segno Nazionale di Roma e un dipendente addetto al locale dell’armeria del poligono di tiro di Tor di Quinto, dove Campiti ha preso l’arma con cui ha aperto il fuoco contro le quattro donne sedute al tavolo del consiglio di amministrazione.
Dopo l’inchiesta seguita sin dal giorno della strage dal pm Giovanni Musarò con i carabinieri del Nucleo investigativo, a Campiti vengono contestate le accuse di omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, di tentato omicidio di altre cinque persone sedute al tavolo del consiglio di amministrazione del consorzio e di lesioni personali derivate dal trauma psicologico subito dai sopravvissuti. Per lui la procura ha sollecitato la condanna all’ergastolo con due anni e mezzo di isolamento diurno. Per i due imputati del Poligono accusati, invece, di omissioni sul controllo e la vigilanza sulle armi, la richiesta di condanna è stata di 4 anni e un mese e di due anni.
In aula gli investigatori hanno ricostruito le fasi della strage frame dopo frame attraverso il video ripreso dalla telecamera di videosorveglianza del gazebo: “Dalle immagini abbiamo ricostruito che dopo i primi spari la pistola si è inceppata ma Campiti in un attimo ha ‘risolto’ il problema scarrellando l’arma e ha ripreso a sparare. Ha continuato così a colpire le vittime fino a quando si è girato, ha colpito un’ altra vittima, e un condomino gli si è avventato addosso. A quel punto Campiti gli ha sparato sul viso ma lo ha colpito di striscio”.
Una strage pianificata come emerso anche dall’esito della perquisizione “nella felpa aveva 55 proiettili, nella tasca dei pantaloni altri 100 e un secondo caricatore con tredici proiettili all’interno. In un’altra tasca il cellulare, senza sim e batteria, custodite a parte, due tessere rilasciate dal tiro a segno nazionale sezione di Roma. Poi - ha spiegato uno dei carabinieri intervenuti sul posto - nel portafoglio documenti, 535 euro in banconote, un foglio manoscritto 11-12-2022 spazio antistante ‘il Posto giusto’ via Monte Giberto. Al polpaccio aveva legato, invece, un coltello da sub. Campiti ci ha detto che aveva lasciato tre zaini all’esterno, che sono stati tutti recuperati. In uno di questi abbiamo trovato il passaporto, una busta in stoffa con 5700 euro, medicinali, la carta di circolazione di una Ford Ka poi trovata a poca distanza su via Monte Giberto, poi sequestrata”.
L’arma, come emerso sin dai primi accertamenti svolti, era stata sottratta al Poligono. “Aveva una matricola che era stata registrata al tiro a segno nazionale sezione di Roma” e “abbiamo inviato subito sul posto personale per fare accertamenti. Nessuno - ha spiegato nella sua testimonianza il comandante dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma Dario Ferrara - si era accorto che mancava la pistola”. Falle nella sicurezza che erano già state segnalate prima che Campiti compisse la strage. Nonostante due comunicazioni e un sollecito inviati dal commissariato di Ponte Milvio non furono adottati provvedimenti.
“E’ successo che quelle tre note sul poligono non sono mai state viste dall’operatore, arrivano migliaia di pec al giorno. E’ stata una svista. Un fatto del genere non è mai avvenuto sotto la mia dirigenza. E’ stato purtroppo un caso unico’’, ha detto l’allora dirigente della divisione di polizia amministrativa sentita come testimone. “E’ stata una disattenzione, una svista dell’operatore. Le note sul poligono non sono mai state portate alla mia attenzione – ha spiegato in aula. Una testimonianza ritenuta inaccettabile dalle parti civili e uno dei loro legali, l’avvocato Massimiliano Gabrielli, ha presentato una denuncia-querela contro ignoti per omissione di atti d'ufficio chiedendo di verificare le condotte dei pubblici ufficiali della Divisione Amministrativa in relazione alle segnalazioni del Dirigente del Commissariato Ponte Milvio, il nesso causale tra le condotte omissive dei pubblici ufficiali e quanto si è poi verificato a Fidene.
A Campiti era stato negato il porto d’armi come testimoniato dall’ex questore di Rieti. “Ho negato il porto d’armi a Campiti perché l’ho ritenuto potenzialmente inidoneo, pericoloso. La condotta per chi doveva essere autorizzato doveva essere specchiata. Nel caso di Campiti abbiamo delegato l’attività ai carabinieri della stazione di Ascrea ed è emerso che c’erano denunce, anche per danneggiamento, una situazione di forte conflittualità con il consorzio. Ho ritenuto quindi che l’arma poteva essere utilizzata in maniera non idonea, non per un’attività a uso sportivo, ma in qualche modo in una situazione critica”. Alla domanda del pm sul perché dopo il diniego non sia stato avvisato il poligono considerato che Campiti aveva il Dima, l’ex questore di Rieti ha risposto di non averlo fatto “perché ho ragionato in maniera burocratica - ha spiegato - Non avevo un obbligo di legge”.
In aula nel corso delle udienze le decine di parti civili, sopravvissuti alla strage e parenti delle vittime, hanno raccontato come la loro vita è cambiata da quel giorno. “Fabiana era lì come revisore dei conti, non sapeva nemmeno chi fosse Campiti. Lei era per lì per l’esercizio della sua professione”, ha ricordato Giulio Iachetti, marito di Fabiana De Angelis, una delle quattro vittime della strage. “Il problema dell’allaccio di una fogna comporta che ti armi e agisci in maniera insensata. Che logica c’è? Fabiana e Nicoletta erano incredibili. Erano un mondo e tutto ciò che girava intorno. Da una parte c’è un blog e dall’altra parte un mondo che si è silenziato. Campiti ha cancellato un mondo, ha spento un universo”.
Tra i sopravvissuti Silvio Paganini ha raccontato come con il suo intervento è riuscito a bloccare Campiti. “Ho visto Campiti con la pistola che aveva esploso quattro colpi contro i membri del consiglio di amministrazione e quando ha esploso il quinto colpo mi sono gettato addosso per bloccarlo: ho tentato di bloccargli le mani, lui mi ha puntato la pistola alla fronte, ho sentito in quella frazione di secondi il calore della pistola, gli ho spinto la mano verso il basso e lui ha esploso il colpo che mi ha colpito alla guancia. Poi con gli altri siamo riusciti a buttarlo a terra - ha ricostruito Paganini - sono finito sotto Campiti. Quando era stato immobilizzato continuava a dire che eravamo mafiosi, bugiardi. Ero una maschera di sangue, ho visto le vittime, una scena agghiacciante. Ricordo che mia moglie, che era lì con me, urlava ‘mio marito è morto’. I medici che mi hanno visitato mi hanno detto che ero stato miracolato”. Dopo la strage il testimone ha raccontato di aver riportato conseguenze non solo fisiche. “C’e’ un discorso di ansia, irascibilità, difficoltà a stare in luoghi chiusi”. Una situazione che accomuna tutti i sopravvissuti.
Tra i testimoni i pm Giovanni Musarò e Alessandro Lia hanno chiesto e ottenuto di ascoltare gli psichiatri in servizio a Regina Coeli, già sentiti in un’attività integrativa di indagine. "È una persona pericolosa che può organizzarsi per ottenere ciò che vuole. Una persona lucida", il quadro emerso dalle testimonianze dei tre medici del carcere. Per i medici, che hanno avuto con l’imputato decine di colloqui, Campiti ha un disturbo paranoide di personalità. "Ci ha detto che non era stato ascoltato nelle sue richieste e quindi si era dovuto fare giustizia da se’", ha raccontato in aula uno dei tre psichiatri. “È strategico - ha aggiunto - capace di pianificare sulla base dell’obiettivo che ha”. Per il consulente della difesa, lo psichiatra Francesco Cro, che ha avuto un colloquio di un’ora con il killer in carcere lo scorso 20 settembre, Campiti, è ‘’affetto da paranoia’’, disturbo che ha, a suo dire, ‘’compromesso la sua capacità di intendere e di volere al momento del delitto’’.
Se questo processo avesse riguardato solo Claudio Campiti “sarebbe bastata una sola udienza”, ha detto il pm Alessandro Lia nella requisitoria. “Ci sono però altri due imputati e se siamo qui, e abbiamo sentito decine di testimoni, è perché c’è l’esigenza di capire perché tutto ciò sia stato possibile, per dare una risposta a chi chiede giustizia”. E il pm Musarò nel ripercorrere “le falle” sulla sicurezza del Poligono emerse dalle indagini e dalle testimonianze portate in aula ha sottolineato che “quanto successo non era imprevedibile, eventi analoghi erano già accaduti senza che fossero prese precauzioni”.
Nel più grande tiro a segno nazionale, “con oltre 8 mila soci, vigeva una specie di far west, con totale assenza di cautele - ha ricordato Musarò - Come è possibile che Campiti sia uscito dal poligono con la pistola e sia andato via indisturbato, senza passare mai per la linea di tiro? Innanzitutto per lo stato dei luoghi: l’armeria dista 247 metri dalla linea di tiro e si deve necessariamente passare dal parcheggio, nel percorso si costeggia il bar e i bagni, una zona di fatto pubblica, il bar era sostanzialmente aperto a tutti e non c’era alcun tipo di controllo al parcheggio. Campiti non ha approfittato di un momento di distrazione di qualcuno ma di un regolamento interno al poligono che veniva applicato in quel modo da 30 anni - ha evidenziato il pm sollecitando l’ergastolo - Anche dopo l’omicidio di Marta Russo, nel 1997, venne il dubbio che forse la pistola fosse stata prelevata dal Tiro a segno nazionale e furono compiute verifiche poiché l’arma era una calibro 22, molto utilizzata in ambito sportivo”.
Alle richieste della procura si sono associate le parti civili. “Claudio Campiti l’11 dicembre 2022 ha distrutto vite e ne ha cambiate altre per sempre, quelle di figli che non hanno più la madre, l’ergastolo qui ce l’hanno i familiari delle vittime”. Il difensore di Campiti ha chiesto invece la non punibilità per tutti i reati a lui ascritti in quanto non imputabile per vizio totale di mente’’ o in subordine di ''riconoscere l’attenuante del vizio parziale di mente e le circostanze attenuanti generiche, da ritenersi prevalenti rispetto alle circostanze aggravanti contestate nei diversi capi di imputazione”.
Nel processo, oltre al Poligono di Tiro e l’Unione italiana tiro a segno, sono stati chiamati come responsabili civili il ministero dell’Interno e quello della Difesa. I due dicasteri, per il tribunale, ''sono tenuti al risarcimento del danno per non aver esercitato i propri doveri di vigilanza e controllo''. Come emerse durante le indagini, condotte dai carabinieri del Nucleo Investigativo, coordinati dal pm Giovanni Musarò, al poligono di Tor di Quinto c’erano già state in passato sottrazioni di armi, in un caso per compiere una rapina e in un altro per un suicidio.