Pa, Colucciello (Pa Advice): "Pagamento entro 30 giorni funziona ma ancora lungaggini, ecco perché"

Pa, Colucciello (Pa Advice):
15 settembre 2025 | 19.49
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"Il cambiamento" sui tempi di pagamento della Pa "è significativo ed epocale". Così in un'intervista all'Adnkronos Massimo Colucciello, fondatore e Ceo di Pa Advice. "La norma che obbliga la Pa a pagare entro i 30 giorni dalla ricezione della fattura sta funzionando anche per due altri motivi, oltre il limite di tempo", esordisce. "Il primo è che viene introdotta la responsabilità patrimoniale del titolare del procedimento. In questo modo, finalmente, anche nelle grandi organizzazioni si dà un volto a chi fa le cose. Più che tra pubblico e privato infatti la differenza esisteva, ed esiste, tra piccole e grandi organizzazioni, perché in queste ultime spesso vige una sorta di regola dell’anonimato. Per fortuna sta cambiando la visione che abbiamo delle persone e della loro importanza".

E il secondo motivo?

Il rispetto dei tempi di pagamento è dovuto anche alla digitalizzazione, perché rende trasparenti e controllabili questi processi, e quindi aumenta la capacità di controllo. Anche sui tempi di pagamento.

Questo aiuta le tante aziende che lavorano con la Pa a non andare in difficoltà finanziaria.

Fino a poco tempo fa chi aveva contratti con la pubblica amministrazione, e in particolare con i Comuni, si faceva anticipare dalle banche parte degli incassi, ma spesso gli istituti di credito di fronte a questi contratti chiudevano i rubinetti del credito e le aziende andavano in difficoltà. Per avere dei finanziamenti e pur di lavorare c’è stato chi ha aperto fideiussioni impegnando beni di famiglia. Ora non è più così e le banche aiutano chi lavora con la PA. E questo cambia tutto. Anzi, aiuta la PA e il Paese.

In che senso?

Quando un cliente paga male, in ritardo e con difficoltà, i migliori scappano. Se il cliente è credibile e affidabile anche i più performanti prendono in considerazione la possibilità. Questo cambiamento avvicina le imprese migliori alla pubblica amministrazione, ed è un vantaggio per i cittadini e per il Paese.

Situazione ottimale?

Non del tutto. Per esempio, i 30gg sono il tempo che passa tra l’emissione della fattura e il pagamento, ma a volte viene ritardata l’approvazione del Sal e dell’accettazione del servizio, e questo allunga i tempi. Poi bisognerebbe guardare al variegato mondo dei subappalti, dove ci sono le Pmi. Per loro la normativa ha poco o nessun effetto. Tanto più che il processo di digitalizzazione in questi casi è ancora indietro.

Siamo verso la fine del Pnrr. Questo programma ha cambiato la Pa?

Il nostro è un Paese iper-regolamentato e attuare le politiche pubbliche con le regole italiane è più complicato. Anzi siamo campioni di “gold plating”, aggiungiamo requisiti o obblighi non previsti dal piano originale dalla UE. La grande riforma che andrebbe fatta in Italia è la semplificazione della gestione dei fondi pubblici e il miglioramento della PA. Su questo il PNRR ha avuto qualche effetto, ma non basta. C’è stato un tema enorme di progettazione e c’è n’è uno di governance

Sulla progettazione?

Molti progetti del Pnrr sono stati tirati fuori da cassetti dei Ministeri dopo anni, sono stati assemblati di fretta ma, soprattutto, non hanno visto il coinvolgimento delle imprese che di quei progetti sono esperti. Ecco, capisco che ai temi ci fosse una certa fretta, ma in alcuni casi aziende di consulenza, di ingegneria, di architettura, esperti di supporto alla PA potevano essere coinvolti fin da subito. Avrebbero potuto dare un supporto prezioso.

E in tema di governance?

Guardiamo alla sanità digitale. Grazie alla digitalizzazione si stanno facendo enormi passi avanti, ma serve tempo. Non bastano un paio d’anni. E visto che il PNRR sta per terminare bisogna agire in sinergia con i Fondi Strutturali e i Fondi di Coesione e bisogna innanzitutto capire come ciò sarà fatto, come verranno legate le due cose. Ma posso anche dire che c’è un problema più grande che è sempre stato sottovalutato?

Prego

"La sanità costituzionalmente è di competenza regionale, ma il PNRR non prevedeva la partecipazione di questi soggetti. Una rottura rispetto al passato, con una improvvisa ricentralizzazione. Questo trasferimento di poteri non è stato però accompagnato dal trasferimento di competenze ed expertise".

E ora?

Ora potremmo ripetere lo stesso errore con la politica di coesione dei prossimi 7 anni. Anche se in chiaro scuro, per i precedenti cicli settennali di programmazione, le Regioni sono state al centro dei questi programmi. Ora potrebbero essere estromesse. Sicuri che potrebbe funzionare? Tanto più che la centralizzazione del PNRR non sembra abbia avuto risultato ottimali… (di Andrea Persili)

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