Missili e geopolitica: la scelta saudita tra Usa e Cina che può cambiare gli equilibri globali

Marco Mayer (docente Luiss e UniPa) all'Adnkronos: "Una partita che avrà riflessi non solo per il Medio Oriente, ma per il Mediterraneo e l'Europa"

Donald Trump e Mohammed bin Salman. In primo piano: Xi Jinping - IPA
Donald Trump e Mohammed bin Salman. In primo piano: Xi Jinping - IPA
01 luglio 2025 | 13.20
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“Nelle prossime settimane si giocherà una partita geopolitica importantissima non solo per il futuro del Medio Oriente e del Golfo, ma anche per il Mediterraneo e per l’Unione Europea”, spiega all’Adnkronos Marco Mayer, docente al master per Analisti per la Sicurezza Internazionale dell’Università di Palermo e al master di Cybersecurity della Luiss. “L’Arabia Saudita dovrà scegliere se chiudere la trattativa in corso e acquisire dalla Cina i nuovi sistemi di difesa aerea HQ-29 in grado di intercettare missili balistici e vettori spaziali. In alternativa potrebbe puntare a un salto di qualità nella cooperazione militare con Washington nell’ambito dei sistemi di difesa antimissilistica PAC-3MSE, la nuova generazione dei Patriot. Le decisioni che saranno assunte a Riyadh costituiscono un indicatore fondamentale per misurare – al di là della narrativa sui social media – quali siano le capacità di influenza politica dell’amministrazione Trump e se sia in grado di contenere con successo le strategie di ‘riarmo tecnologico’ perseguite da tempo dalla Cina”.

Il sistema HQ-29, che Pechino potrebbe presentare ufficialmente alla parata militare di settembre, viene descritto da analisti e fonti militari come il più avanzato scudo antimissilistico cinese, paragonabile ai sistemi THAAD americani. La prospettiva che una tecnologia di questo livello possa entrare in servizio in Arabia Saudita preoccupa profondamente Washington. Innanzitutto, l’adozione di piattaforme cinesi frammenterebbe la compatibilità operativa con le forze americane e alleate, compromettendo l’integrazione di comando e controllo che ha costituito per decenni il pilastro della presenza statunitense nel Golfo. In secondo luogo, il dispiegamento dell’HQ-29 comporterebbe la necessità di far dialogare questi sistemi con radar e sensori di produzione occidentale, creando il rischio di esporre informazioni sensibili a un concorrente strategico. Infine, la scelta del regno guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman avrebbe una valenza politica che andrebbe oltre il Golfo: segnerebbe un precedente per altri Paesi che oggi basano la loro sicurezza sull’ombrello americano.

Proprio per prevenire questo scenario, l’amministrazione statunitense ha preparato un pacchetto che non si limita a una semplice fornitura di batterie Patriot di nuova generazione. Il piano prevede la consegna del PAC-3MSE, l’integrazione operativa con le altre piattaforme NATO e con i sistemi THAAD, programmi di addestramento avanzati, supporto logistico localizzato e l’accesso selettivo a segmenti tecnologici per ridurre la dipendenza saudita, pur senza compromettere i livelli di sicurezza americana.

La scelta saudita è destinata a riverberarsi ben oltre la penisola arabica. Puntare sui sistemi cinesi significherebbe diversificare le forniture militari e rafforzare la percezione di autonomia strategica di Riyadh. Ma significherebbe anche accettare il rischio di una crescente influenza di Pechino in un’area dove ha già dimostrato ambizioni di leadership, avendo mantenuto stretti rapporti con Teheran: la Cina è ormai il principale acquirente del petrolio iraniano, spesso attraverso triangolazioni e rotte di fornitura che aggirano le sanzioni internazionali. Questo legame energetico ha avuto anche una dimensione militare e logistica. Durante i giorni più critici della guerra tra Israele e Iran, intelligence occidentali hanno monitorato con attenzione una serie di voli cargo "fantasma" diretti dall’aeroporto di Urumqi e da altre basi cinesi verso scali iraniani. Sebbene Pechino abbia ufficialmente mantenuto un profilo prudente, il flusso di rifornimenti – in parte qualificato come aiuti umanitari, in parte come forniture dual use – ha confermato come la Cina sia pronta a sostenere gli ayatollah sul piano materiale quando l’equilibrio regionale minaccia di spezzarsi. Questo intreccio di relazioni rende ancora più delicata la posizione di Riyadh: scegliere l’HQ-29 cinese significherebbe legarsi a un fornitore che, in caso di escalation regionale, potrebbe rivelarsi il principale alleato strategico del suo storico rivale. Restare nel perimetro americano, invece, consentirebbe di preservare l’integrazione con la difesa occidentale e di mantenere solidi legami con l’alleato che, più di ogni altro, ha garantito la sicurezza del regno nel corso delle ultime decadi.

La partita è appena cominciata. La sua posta in gioco è molto più ampia della fornitura di un sistema d’arma: è la definizione del nuovo ordine tecnologico e strategico del Golfo e, indirettamente, dell’area euro-mediterranea. (di Giorgio Rutelli)

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