
Un trionfo corale che ha trasformato l'anfiteatro in un rito collettivo tra passato e futuro, con la regia visionaria di Stefano Poda
È stato un debutto da leggenda quello di venerdì 13 giugno all'Arena di Verona, dove la 102/a edizione dell'Opera Festival ha preso il via con il suggestivo Nabucco di Giuseppe Verdi, firmato dal geniale Stefano Poda. Un allestimento che ha trasformato l'anfiteatro romano in una vera e propria macchina del tempo, un ponte spettacolare tra passato e presente, tra mito e tecnologia.
Dopo tre ore, al calar del sipario, il pubblico non ha voluto lasciare spazio al silenzio: dieci minuti di applausi scroscianti e ovazioni calorosissime hanno accolto l'Orchestra diretta dal maestro Pinchas Steinberg e gli straordinari protagonisti Amartuvshin Enkhbat (Nabucco), Anna Pirozzi (Abigaille), Francesco Meli (Ismaele), Vasilisa Berzhanskaya (Fenena) e Roberto Tagliavini (Zaccaria).
Tra il pubblico in platea, spiccava la figura dell'ex cancelliera tedesca Angela Merkel, accompagnata dal marito, la cui presenza è stata annunciata all'ultimo momento, estasiata dalla prima esperienza veronese: "Uno spettacolo meraviglioso", ha commentato con entusiasmo, scattando foto "allo splendido anfiteatro romano". Sul palco d'onore una prestigiosa rappresentanza istituzionale: Lorenzo Fontana, presidente della Camera, il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, la ministra della Famiglia e pari opportunità, Eugenia Roccella, il ministro dei Rapporti con il parlamento, Luca Ceriani, il sottosegretario alla Cultura Gian Marco Mazzi. Gli ospiti sono stati accolti dalla sovrintendente della Fondazione Arena, Cecilia Gasdia, e dal sindaco di Verona, Damiano Tommasi. "Un'opera spettacolare", ha commentato Giuli.
La regia di Poda si è rivelata una vera e propria visione potente, capace di scolpire la tragedia verdiana nell'aria con scenografie immersive e simbolismi evocativi. La scena si è aperta su due sfere rotanti, metafora delle forze opposte che dominano l'umanità - ragione e istinto, amore e odio - attratte e respinte in un eterno duello. Al centro, una clessidra monumentale, icona della caducità ("Vanitas"), scandiva il tempo di un'opera che parla di prigionia, guerra, profezia, ma soprattutto di speranza e rinascita. Non sono mancate le incursioni nel contemporaneo: un inquietante fungo atomico, riferimenti bellici di ultima generazione, un dialogo costante tra spiritualità e tecnologia. La messa in scena si è rivelata un viaggio tra umanesimo e futurismo, un'esplosione visiva che ha lasciato incantati e riflessivi.
Il ritorno a Verona dopo 25 anni del maestro Pinchas Steinberg ha ulteriormente impreziosito la serata, con un Coro diretto da Roberto Gabbiani che ha regalato un Va', pensiero da pelle d’oca, preceduto da un silenzio carico di emozione e seguito da un'ovazione commossa.
Sul palco, ben 400 artisti tra mimi, danzatori, schermidori e figuranti hanno dato vita a un racconto corale che ha travalicato i confini del lirismo tradizionale per diventare un’autentica esperienza sensoriale e spirituale.
La sovrintendente Cecilia Gasdia ha definito così questa apertura: "Un patrimonio vivo e pulsante, un invito a far parlare la musica alle nuove generazioni". E di certo questa serata ha tracciato un solco indelebile, proiettando l'Arena di Verona nel futuro senza rinnegare la sua storia, come ha voluto sottolineare il sottosegretario alla Cultura Gian Marco Mazzi.
Il 102° Opera Festival è iniziato con un fragoroso applauso al passato e un accorato sguardo al domani. Perché, come in quel colossale anfiteatro romano, la grande musica è soprattutto un rito collettivo che unisce e trasforma.
(di Paolo Martini)