Le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello che ha assolto il carabiniere Fabio Manganaro, ‘agito senza la volontà di peggiorare lo stato di restrizione’
“La condotta tenuta dal maresciallo Manganaro” non è stata accompagnata “dalla coscienza e volontà di realizzare una condotta criminosa, vale a dire di determinare consapevolmente un significativo peggioramento della restrizione della libertà personale e magari anche di umiliare il fermato per fini vendicativi o di impedire a Natale Hjorth di riconoscere gli altri militari che lo stavano insultando o minacciando” ma è stata accompagnata “solamente dalla volontà di proteggere l'integrità fisica e psichica di Hjorth, nel tentativo di riportarlo alla calma e di meglio compiere gli atti di polizia giudiziaria”. I giudici della Prima Corte di Appello di Roma hanno motivato così la sentenza di assoluzione perché “il fatto non costituisce reato”, pronunciata lo scorso 26 aprile, nel processo al carabiniere Fabio Manganaro, accusato di misura di rigore non consentita dalla legge per aver bendato Gabriel Natale Hjorth.
Il bendaggio era avvenuto nella caserma di via in Selci dopo il fermo dei due americani per l’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega, ucciso con undici coltellate nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019 nel centro della Capitale. Una sentenza che accogliendo la richiesta della procura generale per Manganaro, difeso dagli avvocati Roberto De Vita e Valentina Guerrisi, ha ribaltato il verdetto di primo grado che lo aveva, invece, condannato a due mesi, pena sospesa. “ La scelta del bendaggio degli occhi è stata presa nella immediatezza, certamente non è stata programmata ed è risultata un’azione estemporanea e d'impeto - scrivono i giudici d’Appello - in quanto il Manganaro ha utilizzato il primo accessorio che casualmente ha rinvenuto nella stanza ovvero un foulard lasciato in precedenza da qualcuno sull'attaccapanni della stanza stessa. La mancanza di prova certa della durata del bendaggio stesso non può escludere che la stessa privazione del visus del giovane fermato si sia limitata a un numero indeterminato, ma limitato di minuti”.
Per i giudici, dunque, deve ritenersi ragionevolmente dimostrato che Manganaro “abbia sì adottato oggettivamente una irrituale temporanea misura di maggior rigore, ma abbia agito senza la volontà di modificare in senso peggiorativo lo stato di restrizione in cui si trovava legalmente Natale Hjorth”. E “deve pure considerarsi che Manganaro, in quel contesto ambientale assai complicato, ha dovuto prendere da solo e senza il supporto delle gerarchie superiori e senza potersi confrontare con altri colleghi, delle decisioni immediate importanti sulla gestione della persona fermata”, spiegano.
Un contesto ambientale all'interno della caserma “assai turbolento - ribadiscono in un altro passaggio della sentenza i giudici di Appello - non causato dallo stesso Manganaro, ma che questi ha subito, e ha trovato, all'interno della stanza dove aveva collocato il fermato, un numero ingiustificato di persone la cui presenza era non necessaria; da ultimo si è trovato al cospetto di ufficiali che hanno sostanzialmente avallato la sua condotta, facendogli certamente credere di agire correttamente entro i binari della legalità”.
Da ultimo “deve anche considerarsi che l'azione di copertura degli occhi da parte del pubblico ufficiale nei confronti della persona fermata è condotta ritenuta legittima in molti Stati della Unione Europea e tale circostanza non può escludersi che fosse conosciuta dal Manganaro. Assolutamente ragionevole è, quindi, la giustificazione fornita dall'imputato dell'aver deciso, nella immediatezza e senza alcuna premeditazione, di coprire gli occhi del fermato, che si trovava in stato di iperagitazione, solamente per creare una rudimentale forma di isolamento dal contesto ostile circostante, al fine di superare quella temporanea condizione di confusione che peraltro impediva il corretto compimento degli atti di polizia giudiziaria”, concludono.
A commentare le motivazioni della sentenza l’avvocato Roberto De Vita difensore, insieme alla collega Valentina Guerrisi, del maresciallo Manganaro. “Dopo i gravi errori della Procura e del Tribunale, la Corte di Appello rende finalmente giustizia al maresciallo Manganaro con motivazioni talmente forti che - sottolinea all'Adnkronos il penalista - impongono anche all’Arma dei Carabinieri di annullare l’ingiusta sanzione disciplinare inflitta e di reintegrare il militare nei servizi operativi. Ci attendiamo che il Comandante Generale voglia ricevere il maresciallo Manganaro come gesto simbolico riparativo per tutta la sofferenza patita in solitudine dal sottufficiale e dalla sua famiglia”.