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Is: l'archeologo, in Siria e Iraq saccheggia reperti per finanziarsi

D'Agostino, appena tornato dal sud del Paese: "Secondo alcune stime è terza fonte di guadagno dello Stato islamico. Impiegata manodopera locale, pagata a percentuale. Distruzione patrimonio è reale e frutto di ideologia"

Le devastazioni dell'Isis al museo di Mosul
Le devastazioni dell'Isis al museo di Mosul
09 marzo 2015 | 19.21
LETTURA: 4 minuti

Beni archeologici come moneta di scambio da investire nella lotta contro i 'nemici dell'Islam'. La distruzione del patrimonio culturale di Siria e Iraq da parte di Isis, documentata dai video di propaganda del Califfato, "è reale ma non vuol dire che una parte consistente dei reperti non venga immessa su mercati come fonte di finanziamento per le organizzazioni terroristiche". A dirlo all'Adnkronos è Franco D'Agostino, archeologo dell'università Sapienza, da diversi anni impegnato in attività di ricerca proprio nelle zone calde dell'espansione dello Stato islamico e da poco tornato dal sud dell'Iraq.

Difficile fare dei numeri, spiega D'Agostino, "sarà possibile quantificare i danni solo dopo un periodo di assestamento di almeno cinque anni", tenendo conto del tempo necessario al mercato per assorbire il flusso di beni. "Sicuramente però, soprattutto in Siria, in questo momento è in atto un saccheggio organizzato del patrimonio culturale del paese con l'intenzione di trarne profitto" . Un profitto che "secondo alcune stime, è la terza fonte di guadagno per Isis, in ordine di grandezza".

D'altronde Isis, in questo, non è arrivata per prima, e soprattutto non ha competenza specifiche: "sul campo si parla addirittura di manodopera locale impiegata per reperire beni archeologici, sui quali vengono trattenute dall'organizzazione percentuali che vanno dal venti all'ottanta per cento". Una fonte di guadagno significativa, se si tiene conto del fatto che reperti facilmente trasportabili e reperibili in grandi quantità, come sigilli e tavolette cuneiformi, "possono valere anche diverse migliaia di euro l'uno e si parla di centinaia di pezzi che stanno tranquillamente in un sacchetto".

Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, spiega D'Agostino, "tra il 2003 e il 2007, ci fu una ondata di saccheggi ad opera della popolazione stessa che cercava una fonte di guadagno. In seguito, quando il paese si è ripreso economicamente, i saccheggi sono cessati in misura dell'ottanta-novanta per cento. Oggi, invece, agiscono piccoli gruppi criminali, organizzati come mafie, che smerciano questi beni, presumibilmente attraverso la Turchia ".

L'ondata di beni archeologici immessi sul mercato in seguito al crollo del regime, "ormai è passata: dei circa 15mila pezzi sottratti al museo di Baghdad nel 2003, ne sono stati recuperati tra i cinque e i settemila". Nei territori oggi occupati da Isis, non si trova quel tipo di oggetti, ma "il danno portato da saccheggi e distruzioni rimane comunque incalcolabile". Per quanto riguarda Mosul, invece, "va tenuto conto del fatto che già nel 1991, la maggior parte dei reperti di valore erano stati trasportati a Baghdad e lì erano rimasti solo quelli difficilmente trasportabili".

Attenzione però, avverte D'Agostino - che assieme a Licia Romano, è oggi impegnato nello scavo di Abu Tbeira, a sud di Nassiriya - "non si pensi che la distruzione delle città sia solo fumo negli occhi: l'intento ideologico distruttivo del Califfato è assolutamente reale e si basa su una concezione iconoclasta della religione".

Non tutto il paese, però, è in mano allo Stato islamico: "c'è una parte dell'Iraq che lotta per difendere il suo patrimonio culturale e, in questo modo, conduce la sua lotta contro gli integralisti". Ci sono delle strade percorribili in questo senso, "come quella praticata da un imam locale che ha lanciato una fatwa contro la vendita di beni per comprare armi. Siamo davanti ad uno scontro interno all'Islam - conclude D'Agostino - e ci sono questioni come questa che non potranno rimanere irrisolte".

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