
I numeri forniti dal titolare di Minus Energie: ''Non si spende meno di 30mila euro, tempi di realizzazione: tre mesi minimo. E ti proteggono da otto bombe di Hiroshima. Ci hanno chiamato anche dal New York Times e dal Nikkei giapponese''.
Proteggono da un’esplosione pari a un megatone, l’equivalente di otto bombe di Hiroshima, a due chilometri di distanza. Prima della pandemia, se ne realizzavano un paio all’anno. “Ora siamo sulla trentina”. Le richieste maggiori arrivano dall'Italia nord occidentale, che nel corso degli ultimi anni hanno superato il Sud. E il giro d'affari? Sotto i trentamila euro non si spende, a patto che sia tutto compreso nel progetto iniziale di un'abitazione. Altrimenti, i prezzi raddoppiano: ottantamila euro, se non di più. Business bunker. Dall'invasione russa a oggi, i numeri si sono moltiplicati per trenta, e in pochi anni. Minus Energie è un’azienda mantovana specializzata in impianti termici e trattamento dell’aria. I rifugi antiatomici non sono il core business, ma un ramo cresciuto quasi per hobby. “Fino a qualche anno fa ci prendevano un po’ per matti” racconta Giulio Cavicchioli, titolare dell’azienda, ad Adnkronos. “Poi, dopo l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, in due settimane abbiamo ricevuto 700 richieste. Sembravano tutti impazziti. Ci hanno chiamato anche dal New York Times e dal Nikkei giapponese”.
Il tema, tornato caldo anche per le recenti dichiarazioni di Trump sui sottomarini nucleari rivolti verso Mosca, sta trovando terreno fertile in un’Italia che un po' a sorpresa non parte da zero. “Dal 1963, la ditta che rappresentiamo, Andair Ch, ne ha costruiti oltre 35.000 in tutto il mondo. La Svizzera, dove i bunker sono obbligatori, sul proprio territorio ne ha oltre 315.000. E se un progetto non prevede un rifugio, non viene concessa nessuna abitabilità”. Minus Energie non li costruisce fisicamente ma fornisce l’apparato tecnico: impianti di filtraggio, ventilazione, supporto progettuale in 3D. Affianca architetti e ingegneri nella realizzazione. I costi? Come anticipato, dipende dal punto di partenza. Spiega il manager: “Se il rifugio è previsto nel progetto iniziale di una casa, per una famiglia di quattro persone si può spendere partendo da una base di 30-40mila euro. Se invece bisogna costruire tutto ex novo, scavare, aprire il cantiere e attendere le autorizzazioni, allora non si scende sotto gli 80mila euro. E si può salire, senza per forza stabilire un tetto".
Le richieste, rispetto a un tempo, sono più precise. E anche geograficamente cambiate. “Fino a qualche anno fa era il Sud a muoversi soprattutto. Ora ci scrivono soprattutto da Piemonte e Lombardia. Forse per la vicinanza alle centrali nucleari francesi”. Chi si interessa a un rifugio antiatomico oggi mostra anche una discreta preparazione: “Ci chiedono della ventilazione a sovrapressione, della cisterna d’acqua interna in cemento armato, del cibo da stoccare”. Tutti elementi fondamentali per la sopravvivenza autonoma in uno spazio chiuso. I pasti? “Liofilizzati, sottovuoto, sterilizzati. Alcuni da reidratare con un quarto di litro d’acqua. La scadenza media è di venticinque anni”. Dormire, respirare, mangiare, bere, e mantenere l’igiene: i bunker sono pensati per rispondere a queste cinque esigenze sostanziali. Ma c’è anche chi chiede di più. “Un cinema interno, un rifugio a forma di uovo, ingressi sotterranei. A volte arrivano richieste creative, ma ormai non ci sorprende più nulla”.
Tempi di realizzazione? Tre mesi di media, a patto che le autorità locali o in generale le istituzioni non si perdano in pratiche e burocrazia, fa notare il manager. E pesa ancora una scarsa consapevolezza su cosa sia davvero un rifugio. “C’è chi lo confonde con una stanza sigillata o una camera antigas. Ma resistere a una detonazione da un megatone – equivalenti a otto bombe di Hiroshima, categoria minima prevista dalle normative svizzere – è un’altra cosa. Non basta una cantina, e nemmeno i muri di una casa normale”. E Giulio Cavicchioli, ne ha uno? “Piccolo, sette metri quadrati. Ma sì, ce l’ho”. Poi si ferma, sorride: “Sa cosa dovremmo rendere obbligatoria in Italia? La scorta alimentare. Ricorda la domenica dopo l’annuncio della pandemia? I supermercati svuotati, gli scaffali vuoti. Ecco, io quella scena non l’ho mai dimenticata”.