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Caso Regeni, Renzi in aula: "Dicemmo no a verità di comodo"

L'ex premier: "Davanti a quel delitto efferato noi reagimmo arrivando al richiamo dell'ambasciatore"

Matteo Renzi - (Fotogramma)
Matteo Renzi - (Fotogramma)
19 settembre 2024 | 11.54
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“Agli egiziani abbiamo subito detto una cosa: non accetteremo verità di comodo, questo è il filo rosso dei mesi successivi alla morte di Regeni”. A dirlo Matteo Renzi sentito come testimone nel processo davanti alla Prima Corte di Assise di Roma che vede imputati quattro 007 egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso in Egitto nel 2016. Renzi all’epoca dei fatti era presidente del Consiglio. “A marzo loro tentarono di darci una verità di comodo che noi rimandammo al mittente”, ha aggiunto.

“Davanti a quel delitto efferato noi reagimmo arrivando al richiamo dell'ambasciatore”, ha detto ancora Renzi rispondendo alle domande della procura, rappresentata in aula dal procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi e dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco. “Io sono rimasto sconvolto dall’atteggiamento degli egiziani. Al Sisi non si aspettava il richiamo dell’ambasciatore”, ha aggiunto.

Se mi fosse stato chiaro da subito avremmo potuto attuare qualcosa in più ma il comportamento della Farnesina è stato legittimo”, ha detto ancora l'ex premier.

“Vengo informato di Regeni il 31 gennaio 2016. Noi mettiamo in campo tutti i nostri strumenti perché - ha spiegato rispondendo alle domande della procura - c'era crescente preoccupazione da parte degli apparati che, come è fisiologico, erano già a conoscenza della vicenda. Se dal 26 al 31 gennaio la Farnesina ritiene di ‘tenere bassa’ una vicenda così complessa avrà fatto una sua valutazione”.

“Ho fatto 3/4 telefonate con il presidente Al Sisi tra febbraio e marzo 2016 e un incontro con lui tempo dopo. La prima telefonata è avvenuta subito dopo la morte di Giulio. Come governo chiedemmo totale collaborazione all’Egitto e dissi che era inaccettabile quanto successo. Ma non sono mai entrato nel merito delle indagini”, ha affermato ancora Renzi.

“Ogni giorno scompaiono dieci cittadini italiani, per la maggior parte sono casi che si risolvono - ha spiegato - la rilevanza politica a me viene posta il 31 gennaio. Mi avvisarono della scomparsa di un ricercatore italiano. Immediatamente abbiamo messo in campo tutti i nostri strumenti, attivandoci. Al Sisi mi disse che da padre capiva il dolore dei genitori e della famiglia".

“L’udienza di oggi sarà importante, Renzi e Minniti ci racconteranno quando e come hanno saputo, cosa hanno fatto allora e dopo per avere verità e giustizia per Giulio. Sarebbe bello avere chiarezza sulle date, anche se è stato detto che se avesse saputo dal 31 gennaio 2016 avrebbe potuto salvarlo”, aveva detto l'avvocato Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni, entrando in tribunale a Roma con i genitori di Regeni.

“E’ chiaro che la morte di Giulio Regeni è avvenuta per mano egiziana - ha proseguito l'ex presidsente del Consiglio - L’Italia penso che non poteva fare di più. Io non ci ho dormito la notte. Non abbiamo mai messo le relazioni diplomatiche davanti alla morte di un cittadino italiano”.

“In questa vicenda l’Italia ha avuto il coraggio di andare fino in fondo, cosa che non hanno fatto gli inglesi. A mio avviso su questa vicenda gli inglesi non ci hanno detto tutta la verità, e chiesi all’allora premier Theresa May che serviva massima collaborazione. Credo invece che l’università inglese avrebbe dovuto collaborare di più”, ha quindi sottolineato Renzi.

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