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Il 'caso Gentile' è ancora aperto, un'analisi di Alessandro Campi

Il nuovo libro dello storico sulla morte del filosofo: "Necessaria e memorabile"

Il 'caso Gentile' è ancora aperto, un'analisi di Alessandro Campi
21 maggio 2025 | 17.33
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L'uccisione del filosofo Giovanni Gentile, avvenuta il 15 aprile 1944 a Firenze per mano dei partigiani comunisti dei Gap? Non solo non era inevitabile, ma fu anche "necessaria" per segnare il passaggio definitivo dall'Italia fascista a quella antifascista, rivelando le contraddizioni e le tensioni di una guerra civile che, a distanza di decenni, continua a segnare la memoria collettiva del nostro Paese. Nel suo nuovo libro "Una esecuzione memorabile. Giovanni Gentile, il fascismo e la memoria della guerra civile" (Le Lettere) Alessandro Campi propone una lettura innovativa e provocatoria del caso della morte del filosofo idealista, assunto a ideologo del fascismo e ministro dell'Istruzione del governo Mussolini, la cui figura continua ad essere al centro di discussioni e riflessioni.

Il libro di Campi - professore di Storia delle dottrine politiche nell'Università di Perugia, direttore dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano e del trimestrale "Rivista di Politica" - esce a pochi giorni dal prossimo 29 maggio, giorno in cui ricorreranno i 150 anni dalla nascita di Gentile, uno dei filosofi più influenti e controversi del Novecento italiano: la sua adesione al fascismo e il suo ruolo come intellettuale al servizio del regime ne hanno oscurato la figura, alimentando dibattiti e conflitti sulla sua eredità.

Campi si addentra nella complessità della figura di Gentile e della sua morte, offrendo una lettura che sfida le narrazioni tradizionali e gli approcci superficiali. Secondo Campi, la morte di Gentile non fu il frutto di un complotto misterioso, ma il risultato di un conflitto ideologico che ne segnò la fine tragica. E se la morte del filosofo può sembrare un atto simbolico, in realtà Campi la considera un passaggio necessario per la fine dell'Italia fascista e l'inizio di una nuova era. Perché intitolare questo libro "Una esecuzione memorabile"? L'espressione si trova nei "Discorsi" di Niccolò Machiavelli e per quest'ultimo i cambi radicali e violenti di regime, "da tirannide in repubblica o da repubblica in tirannide" come scriveva, sono sempre segnati da una morte eccellente o simbolica che fa da spartiacque tra il prima e il dopo. "L'uccisione di Gentile nella storia italiana ha avuto esattamente questo significato - spiega Campi - Con lui è finita l'Italia nazional-monarchica di matrice risorgimentale. Dalle ceneri del fascismo è nata una democrazia repubblicana le cui forze dominanti, cattolici e comunisti, non avevano più alcun legame con le idealità, le battaglie e le parole d’ordine che portarono all'unificazione dell'Italia".

Sul delitto Gentile sono apparsi volumi importanti come quelli di Luciano Canfora, Antonio Paoletti e Luciano Mecacci, incentrati quasi esclusivamente sulla questione dei mandanti e degli esecutori materiali di quell'assassinio. "Questi autori - ricorda Campi - hanno anche adombrato l'esistenza di misteri, zone d'ombra e responsabilità ancora non chiarite. A mio giudizio, invece, non c'è alcun segreto da scoprire. Gentile è stato ucciso da partigiani comunisti che nel contesto di una montante guerra civile consideravano pericolosi i suoi appelli alla pacificazione tra italiani. Gentile era un moderato e nelle guerre intestine, spietate per definizione, i moderati sono sempre i primi ad essere abbattuti".

Lo storico e politologo sostiene che la morte di Gentile abbia avuto un significato politico e culturale cruciale. In un momento in cui l'Italia si trovava nel pieno della guerra civile tra fascisti e partigiani, la sua uccisione rappresentò un punto di rottura simbolico con l'Italia fascista. "Una esecuzione memorabile", come la definisce Campi, è il tributo di sangue pagato nel passaggio da un regime totalitario a una nuova democrazia repubblicana, che, seppur segnata dalle sue contraddizioni, avrebbe segnato la fine dell'era fascista e l'inizio di un nuovo corso storico.

"Nel contesto della guerra civile, Gentile rappresentava una figura moderata, che cercava di conciliare le diverse anime del Paese. Questo lo rese un bersaglio per entrambe le parti in conflitto - spiega Campi - L'uccisione di Gentile non fu un atto casuale, ma la conseguenza di un processo politico in cui il filosofo, pur essendo lontano dalle istanze più radicali del fascismo, si trovava comunque a rappresentare una cultura ormai decadente e destinata a scomparire con la fine del regime".

La figura di Giovanni Gentile continua a suscitare reazioni forti e polarizzate. Nei giorni scorsi, ad esempio, non sono mancate le polemiche tra la sindaca di Firenze, Sara Funaro, e il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, sull'opportunità o meno di intestargli una strada nella città dove è stato ucciso e dove si trova sepolto. Come mai, a oltre 80 anni dalla sua morte, il suo pensiero e la sua morte sono ancora oggetto di aspre discussioni? Secondo Campi, ciò è legato alla continua divisione politica e culturale dell'Italia, che non è riuscita a superare le fratture della guerra civile. Le tensioni tra fascismo e antifascismo, tra conservatori e progressisti, restano forti, e la figura di Gentile, con la sua visione del mondo e il suo passato con il regime, non fa che amplificarle.

Le polemiche sulla commemorazione di Gentile, in particolare riguardo alla proposta di intitolargli una via a Firenze, sono un riflesso di questa continua lotta tra memorie diverse, sottolinea Campi. Mentre alcuni vedono Gentile come un traditore della cultura italiana, altri riconoscono in lui un grande filosofo che, nonostante le sue scelte politiche, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del pensiero.

"L'Italia è rimasta una realtà settaria e litigiosa, dove prevalgono le logiche tribali e gli schieramenti ideologici - afferma Campi - Gentile è l'emblema di un moderatismo che oggi appare incomprensibile, ma che rappresentava un tentativo di superare la divisione e di ricomporre il Paese. La sua morte, quindi, non è solo una tragedia personale, ma un momento che segna la fine di un’epoca e l'inizio di un'altra, più complessa e difficile da comprendere".

Non solo un pensatore, ma anche un organizzatore culturale, Gentile ha avuto un impatto significativo sull’istituzione e sul panorama culturale italiano. Campi sottolinea come la sua eredità non si limiti alla filosofia, ma si estenda alle numerose istituzioni che ha creato e diretto. L'Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, la Scuola Normale Superiore di Pisa, l'Istituto italiano per gli studi storici e molte altre istituzioni culturali sono ancora oggi testimoni del suo operato.

"Gentile ha costruito il sistema culturale dell’Italia unificata, dando vita a istituzioni che hanno avuto un impatto duraturo e che, nonostante il regime fascista, erano destinate a sopravvivere oltre la politica di quel tempo", afferma Campi. La sua riforma scolastica, ad esempio, ha contribuito a formare le basi del sistema educativo italiano, e la sua visione della cultura come strumento di unificazione nazionale è ancora oggi un’eredità presente nel nostro Paese.

Campi conclude il suo libro con una riflessione sulla morte di Giovanni Gentile come simbolo della complessità storica dell'Italia del Novecento. La sua morte, lungi dall'essere un semplice assassinio, rappresenta la fine di un periodo storico e l'inizio di uno nuovo, contraddittorio e difficile da definire. "La morte di Gentile è una rivelazione della complessità delle vicende politiche e culturali che hanno attraversato l'Italia", afferma Campi. "Non è un mistero da risolvere, ma un episodio che ci mostra la difficoltà di superare le divisioni interne, di costruire una memoria comune in un Paese che ha vissuto tragedie e conflitti senza fine". Oggi, a distanza di 150 anni dalla sua nascita, Giovanni Gentile rimane una figura che continua a provocare, a dividere, ma anche a stimolare il pensiero. La sua morte non è solo un ricordo doloroso, ma un momento che costringe a riflettere sulla nostra storia e sulla nostra memoria collettiva, sempre segnata dalle cicatrici della guerra civile.

(di Paolo Martini)

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