
Una malattia che colpisce circa 10.000/15.000 persone in Italia, con prevalenza tra
6,4-37 casi ogni 100.000 abitanti e incidenza tra 0,8-2,3 nuovi casi ogni 100.000 persone all'anno e generalmente pazienti giovani (30/40 anni) in piena età lavorativa
Firenze, 16 settembre 2025 - L’ipoparatiroidismo è una patologia rara in cui le ghiandole paratiroidi non producono quantità sufficienti di ormone paratiroideo (PTH) comportando squilibri nel metabolismo di calcio e fosforo, con l’insorgenza di disturbi collegati di diversa entità/gravità che possono essere non sempre facilmente identificabili. Nonostante la ricerca stia producendo interessanti avanzamenti terapeutici che potrebbero garantire ai pazienti una qualità di vita nettamente migliore,restano problematiche relative ad una diagnosi tardiva, al poco coordinamento tra le varie specialità cliniche, alla difficile gestione della malattia tra presa in carico e follow-up. Di questi aspetti si è parlato al Convegno “Innovazione organizzativa nei percorsi di diagnosi, cura, follow-up. Focus on Ipoparatiroidismo: TOSCANA”, organizzato da Motore Sanità e realizzato grazie al contributo non condizionato di Ascendis Pharma
I sintomi comuni vanno dal formicolio alle mani o alla bocca, ai crampi muscolari e nei casi più gravi fino alla tetania. Nei casi più severi si possono verificare diverse malattie d’organo, anomalie scheletriche, calcificazione dei gangli della base, manifestazioni renali. Le complicanze più comuni dell'ipoparatiroidismo cronico sono cataratta (17%), infezioni (11%), nefrocalcinosi, nefrolitiasi (15%), insufficienza renale (12%), convulsioni (11%), depressione (9%), malattia cardiaca ischemica (7%), aritmie (7%). In Italia è stato calcolato che ogni anno si verificano oltre 3000 ricoveri ospedalieri per complicanze acute correlate all’ipoparatoroidismo con una durata media di ricovero di circa 7 giorni.
“L’ipoparatitoidismo è una malattia endocrinologica che porta alla assente o ridotta produzione del paratormone, l’ormone principe nel controllo dei livelli di calcio nei liquidi biologici. In assenza o ridotta produzione di paratormone il calcio nel sangue (calcemia) si abbassa, mentre il fosfato (fosfatemia) si alza. Questo ha causato per anni problemi molto seri ai pazienti perché non avendo a disposizione il paratormone o i suoi peptidi per ridurne la carenza, i pazienti venivano trattati con vitamina D attiva e calcio e questa terapia facilmente può produrre un difetto o un eccesso di calcio in circolo con conseguenze devastanti a livello del sistema nervoso, del muscolo scheletrico, del muscolo cardiaco, dei reni, degli occhi e dell’osso. Oggi avremmo a disposizione un farmaco che è un peptide del paratormone a lento rilascio che è usato con successo in numerosi Paesi in Europa e in Nordamerica. I nostri pazienti dovranno essere trattati con una terapia adeguata presto. Non possiamo tradire le loro speranze e l’Italia deve rimanere all’avanguardia nelle terapie innovative”, ha spiegato Maria Luisa Brandi, Presidente Fondazione Firmo
“L’ipoparatiroidismo è una malattia rara che comporta sfide significative nella gestione quotidiana dei pazienti. Per affrontarle, si rende necessario ripensare i percorsi di diagnosi, cura e follow-up con un approccio innovativo e strutturato. La creazione di percorsi clinici assistenziali dedicati permette di garantire uniformità di trattamento e ridurre le disuguaglianze territoriali. Innovazione significa anche rendere più semplice e accessibile la comunicazione tra pazienti e professionisti sanitari, grazie a strumenti digitali e a un’assistenza continuativa. Un modello organizzativo moderno assicura un monitoraggio efficace, previene complicanze e migliora l’aderenza terapeutica. Il risultato atteso è un sistema di presa in carico integrato, centrato sulla persona, che valorizza la collaborazione tra istituzioni, associazioni e comunità scientifica. Questa trasformazione non solo eleva la qualità dell’assistenza, ma contribuisce a e migliorare la qualità di vita dei pazienti con ipoparatiroidismo”, ha detto Filomena Cetani, Professore Associato di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione Endocrinologia, Università di Pisa
“La chirurgia tiroidea è purtroppo la causa principale di ipoparatiroidismo acquisito che, a sua volta, è la firma di ipoparatirodismo più frequente in assoluto. Talvolta è una complicanza transitoria che si risolve in breve tempo ma altre volte è permanente e quindi accompagnerà il paziente per tutto il resto della vita. Questa complicanza chirurgica è maggiore quando l’intervento di tiroidectomia viene eseguito in centri, e quindi da chirurghi, non specializzati nel settore. L’invito di AIT, rivolto soprattutto agli endocrinologi e ai chirurghi, è di considerare attentamente la reale necessità chirurgica ed essere più conservativi possibile. Ai pazienti invece ai quali è stata data una indicazione chirurgica, suggeriamo di rivolgersi ad un centro di riferimento per la chirurgia tiroidea”, ha affermato Rossella Elisei, Professore Associato di Endocrinologia della Universita’ di Pisa, Direttrice della UO di Endocrinologia 2 della azienda Ospedaliero universitaria pisana e Presidente AIT (Associazione Italiana Tiroide)
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