
"Sconcerto e preoccupazione per i piani futuri i sentimenti più diffusi tra i corridoi dell'ateneo"
"Attaccare l’università significa prevenire movimenti di contrasto a un governo che sta cercando di accentrare il potere mettendo in pericolo la democrazia". Lo sostiene uno studente italiano iscritto ad Harvard, che da nove mesi vive nel campus di quella che definisce "un’università multiculturale e critica per natura" e che preferisce restare anonimo. Parlando all'Adnkronos, si dice "sconcertato" dalla decisione dell’amministrazione di Donald Trump di revocare i visti agli studenti internazionali dell'ateneo, e racconta - alla vigilia dell'udienza che determinerà se verrà prorogata l'ordinanza restrittiva - il clima difficile e sospeso che si respira in questi giorni tra i corridoi dell'ateneo di Cambridge.
"La prima reazione è stata sicuramente di sconcerto. Non tanto per me, che sono a fine percorso, ma per studenti, amici e colleghi che ora sono preoccupati per i loro piani futuri", spiega. "La decisione di Trump non è un caso isolato, già ad aprile c’erano stati tagli ai fondi per la ricerca. Ma quella annunciata per Harvard sembra una misura volta a colpire l’individuo, una dichiarazione di ostilità dall’impatto più diretto e che colpisce studenti e ricercatori".
Il provvedimento si inserisce in una campagna più ampia del presidente Trump contro Harvard, accusata di discriminazioni razziali, complicità ideologica con la Cina e tolleranza verso proteste antisemite. Già nei mesi scorsi erano stati congelati 3,2 miliardi di dollari di fondi pubblici e bloccata la possibilità di accettare nuovi studenti internazionali, poi parzialmente ripristinata da una decisione del giudice federale Allison D. Burroughs.
"La notizia è arrivata in un momento particolare, quando sono finite le lezioni e si aspetta la cerimonia di chiusura. In questo intervallo di tempo molti studenti internazionali partono e decidono di lasciare il Paese, ma ora per loro c’è la preoccupazione e il rischio di essere bloccati alla frontiera". "In questa fase c’è un timore generalizzato ad esporsi su questi temi, anche perché è stato confermato che verranno setacciati i profili social media alla ricerca di elementi che possano giustificare un rifiuto di rinnovo o concessione del visto - continua - Vi è purtroppo la sensazione di una limitazione nella libertà di espressione".
Le tensioni, ricorda, erano già percepibili in autunno: "La vittoria di Trump a novembre ha rappresentato un momento di sconforto, perché si era intuito che sarebbe risultata in una serie di complicazioni. Già allora si vedeva una distanza tra i valori di Harvard, che ha una visione globale, e la visione “America-centrica” del governo. C’era preoccupazione per quello che sarebbe potuto succedere".
Sulle accuse di antisemitismo rivolte all'università: "Personalmente non ho assistito a eventi di natura antisemita o razzista, il che non vuol dire necessariamente che non siano avvenuti, ma anzi ho vissuto un ambiente basato sulla multiculturalità. L’università ha anche istituito due commissioni per indagare su fenomeni di antisemitismo e anti-islamismo, dopo le manifestazioni pro-Palestina dell’anno scorso. La sensazione è che l’antisemitismo venga utilizzato come pretesto per puntare il dito contro movimenti pro-Palestina. Quest’anno non ci sono state proteste, ma il governo cerca supporto da parte dell’Università anche retroattivo per trovare gli organizzatori gli studenti coinvolti nelle proteste, e questa ha creato frizioni".
"Nella mia esperienza - aggiunge - non ho visto attivismo politico diffuso, ma solo un ambiente per sua natura multiculturale e multidisciplinare, con persone abituate a vedere il mondo con pensiero critico, provando a cambiare le cose nel modo che ritengono giusto". E torna infine sul significato politico di quanto accaduto: "Mia lettura personale: attaccare Harvard significa zittire chi potrebbe dissentire, in un momento in cui si sta restringendo lo spazio democratico negli Stati Uniti".