
Il movimento palestinese contesta il documento perché "non soddisfa le richieste del nostro popolo" tra cui "la fine della guerra e della fame"
Niente di fatto sul fronte della tregua di 60 giorni a Gaza, proposta dagli Stati Uniti, con il piano Witkoff. Hamas, tramite il suo leader in esilio Bassem Naim, ha fatto sapere all'Afp che "non risponde alle richieste del nostro popolo". Non si tratta però di una chiusura definitiva perché la stessa fonte aggiunge che la leadership del movimento sta ancora "esaminando la proposta".
Il piano degli Stati Uniti era stato, invece, approvato dallo stesso primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu come ha riportato Canale 12.
Hamas sarebbe rimasta "delusa" per una proposta che, secondo quanto riferito da Axios, sarebbe molto più sbilanciata a favore di Israele rispetto alle precedenti. Secondo il giornalista di Axios, Barack Ravid, non include una chiara garanzia americana che il cessate il fuoco temporaneo sarà permanente. Ha anche osservato che la nuova proposta non afferma chiaramente che, se i negoziati dovessero proseguire oltre i 60 giorni, anche il cessate il fuoco continuerà e Israele non potrà violarlo unilateralmente come già avvenuto a marzo.
La nuova proposta dell'inviato della Casa Bianca, Steve Witkoff, prevede una tregua di 60 giorni nella Striscia di Gaza e il rilascio di 10 ostaggi in due fasi entro una settimana l'una dall'altra. Sempre secondo i media israeliani, Hamas dovrebbe consegnare i corpi di 18 ostaggi ancora nelle sue mani e lo stesso dovrebbe fare Israele con i corpi di 180 palestinesi. Il piano prevede anche la scarcerazione di 125 palestinesi condannati all'ergastolo e di 1.111 abitanti di Gaza, arrestati dopo l'attacco del 7 ottobre.
I 60 giorni di tregua dovrebbero facilitare i negoziati per mettere definitivamente fine alla guerra e portare, contestualmente, al rilascio dei rimanenti ostaggi nelle mani della fazione palestinese.
La proposta di Witkoff stabilisce anche il ritorno della distribuzione degli aiuti nella Striscia sotto l'egida dell'Onu e delle organizzazioni internazionali. L'esercito israeliano, infine, dovrebbe ritirarsi nelle posizioni che occupava prima dell'inizio della nuova offensiva a marzo.