
Domani quinto round di colloqui tra nessun punto di convergenza e tensione sempre più alta: "Ultima possibilità per evitare la tempesta"
Si terrà venerdì a Roma il quinto round di negoziati tra gli Stati Uniti e l'Iran sul programma nucleare di Teheran. Ad annunciarlo è stato ieri il ministro degli Esteri dell'Oman, Badr Albusaidi. Washington intanto traccia linee rosse, Teheran sfida e minaccia di far saltare il tavolo dei colloqui se verranno negati i suoi diritti, in materia di arricchimento dell'uranio. Dopo quattro round di negoziati - l'ultimo dieci giorni fa - tra Muscat e Roma, c'è attesa per il prossimo incontro, con le trattative che tornano nella Capitale.
Secondo fonti diplomatiche Ue, ''l'ultima possibilità per evitare la tempesta". Perché c'è la consapevolezza che le dichiarazioni sempre più rigide, sia da parte iraniana sia da quella americana, abbiano portato i negoziati a una fase di stallo.
Con il presidente americano Donald Trump che conduce ''guerra psicologica'', alternando la prospettiva di ''un accordo vicino'' e la minaccia che ''succederà qualcosa di brutto'' se invece il negoziato naufragherà. Un approccio tattico con segnali contrastanti volto a destabilizzare l'Iran. Mentre la Cnn cita fonti di intelligence secondo cui Israele si starebbe preparando a colpire siti nucleari della Repubblica islamica.
Nelle scorse ore la Guida spirituale iraniana, l'Ayatollah Ali Khamenei, ha espresso ''dubbi'' sul buon esito dei negoziati, avvertendo i negoziatori americani di ''non dire sciocchezze'' e che la richiesta di interrompere l'arricchimento dell'uranio rappresenta ''un grave errore''. Il ministero degli Esteri iraniano non ha nascosto che si tratti di negoziati ''difficili'', ma Witkoff confida nel prossimo incontro con i negoziatori iraniani in Europa: "Speriamo che porti a qualcosa di veramente positivo'', ha detto. Per il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi è accertato che l'arricchimento dell'uranio è ''non negoziabile''.
La tanto attesa svolta politica, quindi, non si è ancora materializzata. Anzi, le posizioni dei negoziatori sembrano essersi consolidate e la retorica è diventata più combattiva. ''L'ossessione dell'Occidente per l'arricchimento non è innocente, vediamo cosa accadrà'', ha detto Khamenei. Si assiste quindi a ''una brusca escalation che va oltre la teatralità mediatica'', ha detto il ricercatore Jalal Jaraghi, esperto di affari iraniani e regionali, a Shafaq News. "C'è un piano mediatico, dove gli Stati Uniti alternano minacce e rassicurazioni con una politica del bastone e della carota. E c'è un piano costituito da negoziati reali che avvengono silenziosamente attraverso la mediazione dell'Oman", aggiunge.
Intanto i funzionari iraniani sostengono che le richieste in continua evoluzione e il quadro negoziale di Washington non facciano altro che ostacolare i progressi. Da Teheran, la ricercatrice in relazioni internazionali Fatemeh Sayahi ha dichiarato a Shafaq News che la questione nucleare è andata oltre il piano scientifico e diplomatico. "Ora si tratta di sovranità e identità politica dell'Iran", ha detto Sayahi confermando che Teheran "non accetterà mai un arricchimento pari a zero". Persino i riformisti, un tempo sostenitori del compromesso, ora respingono l'idea, anche alla luce delle recenti minacce statunitensi.
In ogni caso, spiega la ricercatrice, "l'Iran ritiene che ricostruire le infrastrutture sia più facile che perdere la capacità stessa. Conoscenze e competenze non possono essere bombardate. Preservare la capacità tecnica è l'ultima linea di deterrenza strategica".
Witkoff, dal canto suo, ha detto che gli Stati Uniti hanno ''una linea rossa molto chiara'' e che ''non possiamo permettere nemmeno l'un per cento di arricchimento dell'uranio''. Per Teheran questo equivale a un disconoscimento totale delle basi del Jcpoa, l'accordo sul programma nucleare iraniano che Stati Uniti e Iran avevano firmato nel 2015 e dal quale Trump si è ritirato durante il suo primo mandato alla Casa Bianca. Rigidità che secondo alcuni osservatori metterebbero a serio rischio i negoziati, ma alcuni esperti Usa invitano alla cautela nell'interpretazione. Ivan Sascha Sheehan, professore di Affari Pubblici e Internazionali e decano del College of Public Affairs dell'Università di Baltimora, ha dichiarato a Shafaq News che "interpretare le dichiarazioni di Witkoff come minacciose è fuorviante". L'Amministrazione Trump, ha aggiunto, ha più volte detto che un accordo nucleare con l'Iran è ''auspicabile e realizzabile''.
Le parole di Araghchi, ammette Sheehan, potrebbero però dimostrare che ''il divario tra i negoziatori è destinato ad ampliarsi e le posizioni a irrigidirsi''. E se "L'Amministrazione Trump ha dimostrato pazienza in quattro round di colloqui'' c'è il timore che ''la pazienza si stia esaurendo", ha concluso Sheehan.
Da Washington, l'analista iraniano Hassan Hashemian, ha affermato che ''non ci sono veri punti di convergenza. Se le controversie persistono, potremmo assistere a una graduale escalation, che inizierà con le minacce e si sposterà verso qualcosa di più grave". Hashemian ha sottolineato che un conflitto diretto non scoppierà finché non saranno esaurite tutte le fasi di escalation politica e mediatica, mentre le ultime dichiarazioni di Araghchi sono rivolte più al pubblico interno iraniano.
"Il regime sa che questo round si concluderà con una concessione fondamentale o con un confronto difficile", ha detto. La situazione interna dell'Iran, secondo Hashemian, non lascia spazio a compromessi, "soprattutto dopo il crollo dell'Asse della Resistenza e la disintegrazione dei servizi di base del Paese". Quindi qualsiasi flessibilità sul dossier nucleare potrebbe rafforzare i rivali del regime all'interno, più che all'esterno. "Ecco perché l'unica opzione praticabile per la leadership è raddoppiare gli sforzi, anche a costo di un isolamento più profondo", ha concluso.