
Il settore dell’automotive sta attraversando in Europa una crisi senza precedenti. Pesano diversi fattori, dall’accelerazione non ‘digerita’ dal mercato verso l’elettrico alla concorrenza cinese, che proprio sulle nuove tecnologie ha accumulato un vantaggio considerevole. Ma ci sono anche evidenti responsabilità nella serie di errori industriali e di strategia commerciale commessi dai top manager delle principali case automobilistiche. Lo scenario è quello dei momenti di rottura, che preludono a una forte discontinuità. In Germania, i lavoratori della Volkswagen guidati dal sindacato IG Metall stanno scioperando per protestare contro il piano del gruppo che prevede la chiusura di tre stabilimenti, di licenziare migliaia di persone e di ridurre del 10 per cento gli stipendi di chi resta. Il Gruppo Stellantis ha appena archiviato la stagione segnata dalla gestione del Ceo Carlos Tavares. Le dimissioni accettate dal cda sono arrivate a valle di risultati pessimi, con la produzione che in Italia sta crollando: si è sempre detto che l'obiettivo al 2030 sarebbe stato produrre un milione di auto in Italia, mentre il 2024 si avvia a segnare il peggiore risultato da 65 anni a oggi, intorno a 500mila auto prodotte. Il problema non è il salto dimensionale fatto con la fusione tra Fca e Psa, operazione messa in piedi da John Elkann che di fatto ha seguito il solco tracciato da Sergio Marchionne con la conquista di Chrysler, ma il vuoto industriale che l’ha accompagnata. Ci si interroga ora su quali possano essere i rimedi da mettere in campo per ridare ossigeno al settore. Servono scelte più lungimiranti e non solo conservative da parte delle aziende e serve un quadro regolamentare meno ostile. L’Unione europea e i singoli Stati membri dovranno trovare una risposta alla crisi mettendo le aziende europee del settore automobilistico nella condizione di confrontarsi con la concorrenza asiatica tenendo insieme la lotta al dumping salariale, che negli anni ha portato molte aziende a delocalizzare in Paesi in cui i diritti dei lavoratori erano inferiori, gli obiettivi di efficienza energetica e inquinamento ambientale, che gli stessi Sati europei si sono dati e che rappresentano un obiettivo di medio-lungo termine non più rinviabile e, infine, l’occupazione e i PIL nazionali.