
Oro agli Europei dell'83, argento alle Olimpiadi dell'80: la vecchia guardia dell'Italbasket piange l'amico e la leggenda
Tutti gli altri in tuta. Lui invece no. Prima delle partite, capitava che Marco Bonamico si presentasse in jeans a zampa d’elefante, camiciona larga e aria da americano acquisito. Era il suo modo di vivere. Forse anche di giocare. Controcorrente, determinato, fuori dagli schemi. Scomparso all’età di 68 anni, non lasciava mai indifferenti il "marine", soprannome che si è guadagnato per il fisico scolpito, la cattiveria agonistica, il modo in cui affrontava le partite. Sempre di petto, sempre in trincea.
Dietro quell’immagine c’è però molto altro. Gli ex compagni di quella Nazionale che vinse l'argento alle Olimpiadi di Mosca nel 1980 e l'oro agli Europei di Nantes tre anni dopo se lo ricordano bene. E lo ricordano i tifosi di Bologna. Perché vincendo due scudetti (1976 e 1984) e due Coppe Italia (1984 e 1989) con la maglia della Virtus, Bonamico è divenuto uno dei simboli del club, legando indissolubilmente la sua carriera alla città felsinea. “C’è poco da dire -ricorda Ario Costa, colonna della Scavolini Pesaro tra gli anni 80 e 90-. Io e Marco ci siamo sempre vantati di essere gli unici due liguri nella pallacanestro. Ma la sua vita era a Bologna. Con lui ho esordito agli Europei dell’81 a Praga: io appena esordiente, lui già veterano. Mi fece sentire subito a mio agio, una grande personalità. E come avversario era durissimo: in difesa un marine vero, non si arrendeva mai, non ha mai temuto di andare oltre l’ostacolo". Conclude Costa, oggi presidente della Vuelle Pesaro: “L’avevo sentito quattro o cinque mesi fa, sembrava tranquillo, felice. Non ha avuto paura, nemmeno stavolta”.
Nessuna paura, evidentemente, di affrontare da solo la malattia che lo ha portato via, con riservatezza, comunicandolo solo agli amici più stretti e ai parenti. In pochi ne erano a conoscenza. Meo Sacchetti, ex Ct dell'Italbasket ma che di Bonamico è stato compagno in azzurro, oltre che rivale e amico, non se la sente di dire nulla: "Sono senza parole. Mi dispiace, non riesco a dire altro". Pierluigi Marzorati, altra leggenda azzurra che per anni ha condiviso con Marco la Nazionale, fa fatica a parlare al telefono: “Si rischia di fare retorica, ma è davvero difficile. In campo era determinato e aggressivo. Fuori era colto, cordiale. Con lui si parlava anche di altro, non solo di basket”. Protagonisti insieme dell'oro europeo nell'83, la bandiera di Cantù ricorda l'impegno del marine, dopo il ritiro, come commentatore ai microfono Rai assieme al telecronista Franco Lauro, un altro andato via troppo presto, e quel filo sottile che teneva e tiene ancora oggi uniti quel gruppo straordinario: “Ci mandiamo ancora messaggi di auguri, oppure ci sentiamo in occasione di eventi -aggiunge Marzorati-. La nostra è una sorta di chat di ‘veterani’. Recentemente avevamo commentato tutti insieme la vittoria degli azzurrini Under 20 e delle imprese anche dell''Under 18. Lui stesso ne era stato molto colpito”.
Proprio da quella chat arriva uno dei racconti più intensi, legato alla finale degli Europei del 1983 a Nantes, vinta contro la Jugoslavia. “Marco fu uno dei protagonisti, lo ricordiamo tutti -racconta Antonello Riva, all'epoca 21enne e ancora oggi miglior realizzatore della storia del campionato italiano di serie A1 e della Nazionale-. All'uscita da un blocco alzò troppo i gomiti e colpì l'avversario, i Kicanovic, i due si conoscevano bene visto che uno giocava a Bologna e l'altro a Pesaro. Marco però nel primo tempo aveva subito un fallo durissimo. Il livello di tensione aumentò sensibilmente e fu così che il nostro spirito di rivalsa iniziò a infammarsi. Quella medaglia la vincemmo anche grazie alla sua scintilla, oltre che al suo carisma". Continua Riva, ex Cantù, Milano e Pesaro: “Con lui ho esordito in Nazionale, abbiamo condiviso tantissimo, io lo ammiravo per il modo in cui si allenava e per la serietà con cui lo faceva. Bonamico e Meneghin erano i leader di quel gruppo, entrambi in maniera diversa sapevano trasmettere la carica che serviva”. E fuori dal campo? “Era esuberante, amante dell’America, controcorrente. Giocavamo a carte, lui preferiva defilarsi ma si faceva comunque notare con quegli abiti, sembravano fuori moda ma lui stava solo anticipando la moda che arriva da oltreoceano”.
C'è un altro piccolo dettaglio che legava Marco Bonamico a Dino Meneghin, insieme anche a Flavio Carera, altro ex giocatore storico della Virtus Bologna: i tre condividevano lo stesso giorno di nascita, il 18 gennaio. "Ricordo ancora gli abbracci con lui agli Europei di Barcellona, nel 1997 -racconta Carera-. Io ero capitano di quella Nazionale e lui era presidente della Giba, l'associazione giocatori italiani di basket. Stava con noi ogni singolo istante, prima e dopo le partite. Sempre ottimista, splendida persona". Carera e il marine si sono sfiorati nel passaggio generazionale sia in azzurro che alle V Nere. Ma a Bologna si sono frequentati a lungo: "Aveva una palestra a Casalecchio, faceva le telecronache e commentava in radio. Dalla pallacanestro non si è mai allontanato, era sempre lì, anche questo è un altro aspetto importante che lo ha contraddistinto". Come gli altri, anche Flavio, che ora vive a Bergamo, ha scoperto la notizia in mattinata. Bonamico era ricoverato da giorni all'ospedale di Bellaria. Un fulmine a ciel sereno: "La notizia mi ha sconvolto. Non sapevamo niente. Poi ho parlato con un amico di Bologna e mi ha detto che non aveva notizie di Marco dai recenti playoff della Virtus, quindi tra maggio e giugno. 'Non sto benissimo' gli aveva detto. Se ne va un uomo vero. Che ha vissuto il basket al cento per cento". (di Giacomo Iacomino)