
E' di Chicago ma ha vissuto per anni in Perù. Trump si congratula, è una figura in grado di mettere pace tra conservatori Usa e Chiesa cattolica
Il rapporto tra il cardinale Robert Francis Prevost, appena eletto papa con il nome di Leone XIV, e i conservatori cattolici americani è complesso e sfumato. Non si può definire Prevost un rappresentante diretto del mondo conservatore statunitense, ma nemmeno un oppositore. La sua posizione è stata descritta come quella di un moderato, capace di tenere insieme sensibilità diverse nella Chiesa. Padre Michele Falcone, suo confratello agostiniano, lo descrive come "un dignitoso uomo di centro".
Nato a Chicago da famiglia di origini spagnole, francesi e italiane, e cresciuto nel contesto cattolico statunitense, Prevost non ha però costruito la sua carriera ecclesiastica negli Stati Uniti. Poliglotta, ha vissuto e lavorato per decenni in Perù (è diventato anche cittadino peruviano) e poi a Roma, dove è stato Prefetto del Dicastero per i Vescovi. Questo lo ha tenuto relativamente distante dalle dinamiche più polarizzate dell’episcopato americano, spesso diviso tra un’ala molto conservatrice, oggi allineata al presidente Trump, e una più vicina alla visione pastorale di papa Francesco.
I conservatori cattolici americani - come il cardinale Raymond Burke, l’arcivescovo Joseph Strickland (rimosso da Francesco), o alcuni media influenti come ‘The National Catholic Register’ o ‘LifeSiteNews’ - hanno criticato negli anni molte riforme di papa Francesco. Prevost, pur nominato da Francesco e parte della sua squadra, è stato visto con meno sospetto di altri collaboratori del papa argentino. Questo per via del suo stile sobrio, della sua attenzione alla dottrina e del suo rispetto per la liturgia tradizionale, anche se non si è mai schierato con l’ala reazionaria.
Dal punto di vista dottrinale, Prevost ha mostrato una certa rigidità su temi sensibili. Se Papa Francesco pronunciò il celebre “Chi sono io per giudicare?” parlando degli omosessuali, Prevost ha espresso preoccupazione per l’influenza dei media occidentali sulla cultura cattolica, parlando in passato di “stili di vita omosessuali” e di “famiglie alternative” in termini critici. In Perù, si oppose all’introduzione di corsi sul genere nelle scuole, definendo la cosiddetta "ideologia di genere" come creatrice di confusione e "di generi inesistenti".
Come prefetto del Dicastero per i Vescovi, Prevost ha avuto un ruolo chiave nella selezione di nuovi vescovi, anche negli Stati Uniti. Ha continuato la linea di papa Francesco nella scelta di pastori più attenti alla cura delle persone che non alla battaglia politica. Tuttavia, la sua discrezione e la sua formazione agostiniana lo hanno reso un interlocutore più accettabile anche per ambienti conservatori, che lo hanno visto come meno "ideologico" rispetto ad altri nomi della curia romana.
Lo scorso 3 febbraio Prevost aveva rilanciato su Twitter un articolo del 'National Catholic Reporter' dal significativo titolo "JD Vance si sbaglia: Gesù non ci chiede di fare una classifica nel nostro amore verso gli altri". Il riferimento è alle parole pronunciate dal vicepresidente JD Vance in un'intervista a Fox News il 29 gennaio: "Esiste un concetto cristiano secondo cui si ama la propria famiglia, poi si ama il prossimo, poi si ama la propria comunità, poi si ama il proprio concittadino e poi si dà priorità al resto del mondo. Gran parte dell'estrema sinistra ha completamente ribaltato questa idea". Una 'classifica' evidentemente non condivisa dal cardinale americano.
Pochi giorni dopo era stata la volta del rilancio di un articolo - anche questo sulla 'classifica dell'amore' elaborata da J.D. Vance - intitolato "Quello che il Vangelo chiede a tutti noi sull'immigrazione". L'ultima apparizione social su X è del 15 aprile per rilanciare un post polemico sulla "espulsione illegale di un residente statunitense da parte dei federali" con un link a un pezzo del 'Catholic Standard' dedicato al problema dell'immigrazione, intitolato "Questa prova è una Passione". Fra i post più vecchi - molti dei quali risalenti al suo lungo dicastero in Perù - anche il rilancio di un'intervista dello stesso Prevost al quotidiano di Lima 'La Republica', in cui da vescovo della diocesi di Chiclayo invitava "le vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti a denunciarli", uno dei temi più cari a papa Francesco.
Nei giorni precedenti il conclave, diversi osservatori hanno sottolineato come Prevost fosse tra i candidati "di compromesso": non troppo vicino all’ala liberal, né espressione del blocco conservatore nordamericano. In un articolo del ‘New York Times’ pubblicato il 2 maggio, si legge che il suo nome era tra quelli considerati capaci di "unificare" e di essere accettati anche dai cardinali statunitensi più tradizionalisti, pur non essendone un esponente diretto. La combinazione di internazionalismo, moderazione dottrinale, esperienza di governo e prudenza personale lo rendeva un papabile inaspettato.
Prevost non ha un rapporto diretto con Donald Trump, che ha scritto su Truth social: "Congratulazioni al cardinale Robert Francis Prevost, appena nominato Papa. E' un grande onore sapere che è il primo Pontefice americano. Non vedo l'ora d'incontrare Papa Leone XIV. Sarà un momento molto significativo". Nei giorni scorsi il presidente ha pubblicato sui profili social ufficiali della Casa Bianca una sua immagine generata con l’AI nei panni del nuovo papa. Questo, e non solo, aveva fatto scommettere molti osservatori che le chances per un papa statunitense erano crollate: gli Stati Uniti con il loro strapotere politico ed economico non possono esprimere anche il capo della chiesa cattolica. Il collegio cardinalizio ha invece sorpreso (quasi) tutti.