
Per il presidente di Grafica Veneta, 2 stabilimenti e 700 dipendenti negli Usa, il danno maggiore è stato il tira e molla della Casa Bianca e dei media
"L'80% del Pil degli Stati Uniti arriva dai servizi. Meno del 20% dalla manifattura. Questi numeri dicono una cosa: sui dazi c'è stato e c'è ancora un allarmismo eccessivo". Fabio Franceschi è uno degli stampatori più importanti d'Europa. Il quartier generale di Grafica Veneta è a Trebaseleghe, nel Padovano, dove l'imprenditore è nato e cresciuto. Ma i pezzi da novanta si trovano vicino Chicago, in Illinois, e a Mayfield in Pennsylvania, dove ogni anno si producono più di 250 milioni di libri. "E io -dice all'Adnkronos- non vado certo a comprare le materie prime qui, negli Stati Uniti -prosegue il manager-. Non ci sono cartiere, nessuna buona, mentre i produttori di qualunque cosa sono piccoli e a volte particolari. Se voglio la qualità, la recupero in Europa, in Cina e in Canada, a partire da carta e inchiostro".
E' chiaro dunque che il tema dazi riguardi anche l'attività di Franceschi, classe 1969, capace di trasformare la tipografia di famiglia in una società innovativa e in forte espansione, con tanto di produzione leggendaria, quella dei 20 milioni di copie della saga di Harry Potter, e oltre 200 case editrici in tutto il mondo. "Chiaro che se queste tariffe aggiuntive non ci fossero sarebbe meglio" commenta. Ma l'accordo ormai è stato siglato. E salvo ripensamenti o nuove negoziazioni, non si torna più indietro. Il presidente di Grafica Veneta continua: "Per come la vedo io, le cose non cambieranno più di tanto e dico questo guardando i numeri. Nel senso che i prezzi dei nostri prodotti li conosciamo bene, io per primo visto che trascorro ormai da cinque anni dai sei agli otto mesi in fabbrica. Dopodiché applicheremo il dazio aggiuntivo e avremo il nuovo prezzo. Non cambieremo strategia, l'economia qui in America è ancora molto forte anche se la manodopera specializzata ormai è un lusso. Penso che la gente continuerà a comprare. Certamente poi starà di nuovo a noi vedercela con l'adeguamento dei salari all'inflazione, cosa che in Europa non è detto che accada. Anzi, se pensiamo all'Italia, non accade mai". Ma è così per tutti? Cosa dicono gli altri imprenditori italiani che hanno business negli Stati Uniti? Il presidente di Gv ha la risposta pronta: "Guardi, proprio accanto a dove sto io, a Chicago, ci sono gli stabilimenti di Giovanni Rana. E lui la pensa esattamente come la penso io. Aumenteranno il prezzo anche loro, ma le vendite rimarranno sostanzialmente invariate".
All'Italia Fabio Franceschi ci pensa, lo ha fatto ad esempio durante la pandemia, quando ha riconvertito le rotative dello stabilimento di Trebaseleghe, oggi carbon neutral con impianto fotovoltaico da 39.000 pannelli che ha ridotto le emissioni di CO₂ di circa 7.000 tonnellate l’anno, per produrre mascherine non sanitarie destinate alla popolazione della regione, donandole alla Protezione Civile e alle organizzazioni di volontariato locali. All'epoca era un'azienda italiana che si affacciava negli Stati Uniti. Oggi sembra in tutto e per tutto un gruppo americano con una fabbrica in Italia. Un migliaio i dipendenti, di cui 700 in America, un massimo di quasi 140 milioni di euro l'anno di fatturato negli ultimi cinque anni e una produzione che copre anche manuali scolastici e prodotti per istituzioni statunitensi, tra cui il Pentagono. "Più delle tariffe in sé -fa notare- è stato il tira e molla della volatilità delle strategie della Casa Bianca, aggravata dai media, a fare danni. Parlando con i clienti, la reazione spesso è stata: 'siccome non è chiaro dove e come conviene comprare, per adesso compro di meno o non compro affatto'. Inoltre se salpa una nave cargo con un carico di merce il cui valore è cambiato a causa dei dazi ancora prima che arrivi al porto di destinazione, cosa fai, la rimandi indietro?".
Anche sulle politiche economiche l'imprenditore non si tira indietro e dice la sua: "C'è da contestualizzare questo 15%. Perché è vero che la carta rientra tra i prodotti colpiti, ma i libri di stampa che mando in Italia, ad esempio, hanno dazi pari a zero. Inoltre vengono applicate tariffe aggiuntive alla Cina, ma poi prodotti come i chip per cellulari vengono esentati. Non so se questo criterio possa aiutare a coprire il famoso disavanzo dell'8%. Ho visto un grande show, ma finora non mi sembra ci siano le basi per generare grossi benefici agli Stati Uniti".