
Il patriarca Latino e primo cardinale di Gerusalemme è un "candidato intrigante"
Il cardinale Pierbattista Pizzaballa nuovo Papa? Possibile per la Cnn, che analizza la figura del religioso alla vigilia dell'inizio del conclave 2025. Il patriarca Latino e primo cardinale di Gerusalemme è un "candidato intrigante".
E' convinto che ''fede e potere non vanno d'accordo'', di dieci anni più giovane rispetto ai più papabili successori di Francesco, spinto sotto i riflettori dalla guerra di Gaza che ''mi ha fatto porre tante domande'' e autore di un gesto per lui ''ovvio'', proporsi come ostaggio in cambio dei bambini israeliani rapiti di Hamas.
''Un portatore di pace'' e ''una figura inconfondibile nei corridoi bui dell'antico patriarcato di pietra in questo angolo travagliato del mondo'', aggiunge l'emittente parlando di un religioso la cui ''fede è stata messa alla prova, sfidata, a volte persino messa in dubbio, ma alla fine più è più forte di tutti gli interrogativi incontrati lungo il cammino''. Un frate francescano amato ''per la sua autenticità e disinvoltura'' dagli abitanti di Gerusalemme in generale dai suoi parrocchiani sono soprattutto palestinesi in particolare, che lo hanno benedetto in arabo mentre si dirigeva verso l'aeroporto di Ben Gurion a Tel Aviv per poi raggiungere il Vaticano e partecipare al Conclave.
Nato a Bergamo 60 anni fa e da 35 anni in Terra Santa, Pizzaballa si è recato due volte nella Striscia di Gaza dall'inizio della guerra, l'ultima prima di Natale. Allo scoppio del conflitto, aveva subito detto che "la prima cosa da fare è cercare di ottenere il rilascio degli ostaggi, altrimenti non ci sarà modo di fermare'' un'escalation, aggiungendo una nota di cautela: "Non si può parlare con Hamas. E' molto difficile". A 7 giorni dall'inizio del conflitto disse anche di essere "pronto a uno scambio, a qualsiasi cosa, se questo può portare alla libertà, a riportare i bambini a casa. Da parte mia c'è la totale disponibilità". Alla Cnn ha detto che rimase ''sorpreso dalla reazione meravigliata del mondo, ma non in Palestina'', e di come non seguirono proposte simili alla sua. E si è chiesto: "Perché i bambini israeliani e non quelli palestinesi? La mia risposta è stata che anche per loro sono pronto".
A 19 mesi dall'inizio del conflitto a Gaza, "in questo momento la mia impressione è che i leader siano in un certo senso paralizzati dal loro ruolo - ha aggiunto Pizzaballa alla Cnn - La lezione che ne traggo è che fede e potere non vanno d'accordo. Se vuoi essere libero come leader religioso, devi essere indipendente da qualsiasi tipo di potere, economico, politico, sociale, qualsiasi cosa. E non ci siamo ancora arrivati". Pizzaballa ha guidato la Chiesa cattolica a Gerusalemme attraversando molti conflitti, ma l'attuale guerra a Gaza è la più dura. "Abbiamo perso tutto. Abbiamo perso la fiducia, abbiamo perso i rapporti. Molte famiglie hanno perso il lavoro. Hanno perso tutto. La mia comunità a Gaza ha perso la casa e il futuro", ha affermato.
Pizzaballa si è recato nella Striscia di Gaza due volte dall'inizio della guerra, una volta lo scorso maggio e l'ultima prima di Natale. "L'impatto emotivo è stato molto forte", ha ammesso, affermando che ''ogni uomo di fede si pone delle domande, me compreso". Meno di due settimane prima della morte di Papa Francesco, Pizzaballa aveva riflettuto sul fatto che "si è così frustrati dalla situazione che si chiede a Dio: 'Dove sei?'. 'Dove sei?'. Poi torno in me e capisco che la domanda dovrebbe essere: 'Dov'è l'uomo ora? Che cosa abbiamo fatto della nostra umanità?'". Ma "non possiamo considerare Dio colpevole di ciò che stiamo facendo", ha affermato. "Vedo in questo mare di oscurità tante luci ovunque, e questo mi dà speranza", ha detto.
Arrivato a Gerusalemme quando aveva 25 anni, il frate francescano si muove tra le maggioranze ebraiche e musulmane e dal 2020 è punto di riferimento per cattolici che vivono in Israele, nei Territori palestinesi, in Giordania e a Cipro. Il suo nuovo cardinalato e la guerra lo hanno spinto a ricoprire il ruolo di portavoce in Vaticano sia degli israeliani sia dei palestinesi, e in particolare di quelli di Gaza, sentendo "il bisogno di essere la voce del mio popolo al mondo, ma anche la voce della fede per il mio popolo". Perentorio, ha affermato che "uno dei problemi che abbiamo oggi è che tendiamo a disumanizzare l'altro. Non dovremmo farlo" perché "l'altro è un essere umano. Chiunque sia, è un essere umano''.
Con questo spirito, durante le sue visite a Gaza portò del cibo che aveva acquistato dalla comunità musulmana di Gerusalemme e conservato in un'azienda ebraica. "Vedo in questo mare di oscurità tante luci ovunque, e questo mi dà speranza", ha detto. E salutando i suoi parrocchiani prima di partire per il Conclave, ''come sempre ha evitato i sentimentalismi'', scrive la Cnn, limitandosi a uno ''sbrigativo arrivederci''.