Gaza, Israele protesta per l'intervista di Parolin: "Mina sforzi di pace"

L'ambasciata israeliana presso la Santa Sede: "Sebbene sicuramente ben intenzionata, si concentra sulla critica a Israele trascurando il continuo rifiuto di Hamas di rilasciare gli ostaggi"

Il cardinale Parolin - Fotogramma
Il cardinale Parolin - Fotogramma
07 ottobre 2025 | 16.11
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La recente intervista al Cardinale Parolin, "sebbene sicuramente ben intenzionata, rischia di minare gli sforzi per porre fine alla guerra a Gaza e contrastare il crescente antisemitismo''. E' quanto si legge in una nota stampa diffusa dall'ambasciata di Israele presso la Santa Sede, secondo la quale l'intervista rilasciata dal Segretario di Stato vaticano ''si concentra sulla critica a Israele, trascurando il continuo rifiuto di Hamas di rilasciare gli ostaggi o di porre fine alla violenza''.

L'ambasciata israeliana afferma che ''ciò che più preoccupa è l'uso problematico dell'equivalenza morale laddove non è pertinente. Ad esempio, l'applicazione del termine 'massacro' sia all'attacco genocida di Hamas del 7 ottobre sia al legittimo diritto di Israele all'autodifesa''. La nota prosegue dichiarando che ''non esiste equivalenza morale tra uno Stato democratico che protegge i propri cittadini e un'organizzazione terroristica intenzionata a ucciderli. Ci auguriamo che le dichiarazioni future riflettano questa importante distinzione''.

Cosa ha detto Parolin

“Rischiamo di assuefarci alla carneficina” a Gaza, le parole ieri del cardinale Parolin, in una intervista ai media vaticani. “Oggi - ha detto - la situazione a Gaza è ancora più grave e tragica rispetto a un anno fa, dopo una guerra devastante che ha mietuto decine di migliaia di morti. È necessario recuperare il senso della ragione, abbandonare la logica cieca dell’odio e della vendetta, rifiutare la violenza come soluzione. È diritto di chi è attaccato difendersi, ma anche la legittima difesa deve rispettare il parametro della proporzionalità”.

“Purtroppo, - evidenziava Parolin - la guerra che ne è scaturita ha avuto conseguenze disastrose e disumane... Mi colpisce e mi affligge il conteggio quotidiano dei morti in Palestina, decine, anzi a volte centinaia al giorno, tantissimi bambini la cui unica colpa sembra essere quella di essere nati lì: rischiamo di assuefarci a questa carneficina! Persone uccise mentre cercavano di raggiungere un tozzo di pane, persone rimaste sepolte sotto le macerie delle loro case, persone bombardate negli ospedali, nelle tendopoli, sfollati costretti a spostarsi da una parte all’altra di quel territorio angusto e sovrappopolato... È inaccettabile e ingiustificabile ridurre le persone umane a mere ‘vittime collaterali’”.

Per Parolin, due popoli due Stati resta la soluzione per il Medio Oriente “ma non possiamo non notare con preoccupazione che le dichiarazioni e le decisioni israeliane vanno in una direzione opposta e, cioè, intendono impedire per sempre la possibile nascita di un vero e proprio Stato palestinese”.

“La Santa Sede - ricorda il porporato - ha riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina dieci anni fa, con l’Accordo Globale tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina. Il Preambolo di quell’accordo internazionale supporta pienamente una risoluzione giusta, comprensiva e pacifica della questione della Palestina, in tutti i suoi aspetti, in conformità al diritto internazionale e a tutte le pertinenti risoluzioni dell’ONU. Al contempo, sostiene uno Stato di Palestina che sia indipendente, sovrano, democratico e praticabile, inclusivo della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e di Gaza. Il medesimo accordo individua questo Stato non in opposizione ad altri, ma capace di vivere fianco a fianco dei suoi vicini, in pace e in sicurezza. Guardiamo con soddisfazione al fatto che diversi Paesi del mondo abbiano riconosciuto lo Stato di Palestina. Ma non possiamo non notare con preoccupazione che le dichiarazioni e le decisioni israeliane vanno in una direzione opposta”. Per Parolin, “la nascita di uno Stato palestinese – dopo quanto avvenuto negli ultimi due anni mi sembra ancora di più valida. È la via, quella dei due popoli in due Stati, che la Santa Sede ha perseguito fin dall’inizio. Le sorti dei due popoli e dei due Stati sono interconnesse”.

Parolin annota ancora che “la Santa Sede, talvolta incompresa, continua a chiedere pace, a invitare al dialogo, a usare le parole “negoziato” e “trattativa” e lo fa sulla base di un profondo realismo: l’alternativa alla diplomazia è la guerra perenne, è l’abisso dell’odio e dell’autodistruzione del mondo. Dobbiamo gridare con forza: fermiamoci prima che sia troppo tardi. E dobbiamo agire, fare tutto il possibile perché non sia troppo tardi. Tutto il possibile”.

E ancora: la Comunità internazionale ”certamente può fare molto di più rispetto a ciò che sta facendo. Non basta dire che è inaccettabile quanto avviene e poi continuare a permettere che avvenga".

”Sembra evidente - diceva Parolin - che la guerra perpetrata dall’esercito israeliano per sconfiggere i miliziani di Hamas non tiene conto che ha davanti una popolazione per lo più inerme e ridotta allo stremo delle forze, in un’area disseminata di case e di palazzi rasi al suolo: basta vedere le immagini aeree per rendersi conto di che cosa sia Gaza oggi. Mi sembra altrettanto evidente che la comunità internazionale risulti purtroppo impotente e che i Paesi in grado di influire veramente fino ad oggi non l’abbiano fatto per fermare la carneficina in atto. Non posso che ripetere le parole chiarissime pronunciate in proposito il 20 luglio scorso da Papa Leone XIV: “Alla comunità internazionale rivolgo l’appello a osservare il diritto umanitario e a rispettare l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione”. Parole che ancora attendono di essere accolte e comprese”.

Per Parolin, “qualunque piano che coinvolga il popolo palestinese nelle decisioni sul proprio futuro e permetta di finire questa strage, liberando gli ostaggi e fermando l’uccisione quotidiana di centinaia di persone, è da accogliere e sostenere. Anche il Santo Padre ha auspicato che le parti accettino e che si possa finalmente incominciare un percorso di pace”, ha detto parlando del piano presentato dal presidente Usa Donald Trump per arrivare alla tregua e alla fine della guerra a Gaza.

A proposito degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, Parolin ha poi espresso “tutta la mia vicinanza, nella preghiera quotidiana per le loro sofferenze, continuando ad assicurare tutta la nostra disponibilità a fare ciò che è possibile perché possano riabbracciare i loro cari sani e salvi o almeno riavere i corpi di chi è stato ucciso, perché siano degnamente sepolti”.

“Sono purtroppo passati già due anni, - sottolineava- alcuni di loro sono morti, altri sono stati rilasciati dopo lunghe trattative. Mi colpiscono profondamente e mi addolorano le immagini di queste persone tenute prigioniere nei tunnel e ridotte alla fame. Non possiamo né dobbiamo dimenticarci di loro. Ricordo che Papa Francesco nell’ultimo anno e mezzo della sua vita ha rivolto ben 21 appelli pubblici chiedendo il rilascio degli ostaggi e ha incontrato alcune delle loro famiglie. Il suo successore, Papa Leone XIV, ha continuato a rivolgere questi appelli”.

Sull’attacco di Hamas del 7 ottobre, Parolin ha poi ribadito: “L’attacco terroristico compiuto da Hamas e da altre milizie contro migliaia di israeliani e di migranti residenti, molti dei quali civili, che stavano per celebrare il giorno della Simchat Torah, a conclusione della settimana della festa di Sukkot, è stato disumano ed è ingiustificabile. La brutale violenza perpetrata nei confronti di bambini, donne, giovani, anziani, non può avere alcuna giustificazione. È stato un massacro indegno e – ripeto – disumano. La Santa Sede ha espresso immediatamente la sua totale e ferma condanna, chiedendo subito la liberazione degli ostaggi e manifestando vicinanza alle famiglie colpite durante l’attacco terroristico”.

Quindi le parole sull'antisemitismo, "un cancro da combattere e da estirpare: c’è bisogno di uomini e donne di buona volontà, educatori che aiutino a comprendere a soprattutto a distinguere".

Gli episodi di antisemitismo, ha detto ancora, “sono una triste e altrettanto ingiustificata conseguenza: viviamo di fake news, della semplificazione della realtà. E ciò porta chi si alimenta di queste cose ad attribuire agli ebrei in quanto tali la responsabilità per ciò che accade oggi a Gaza. Lo sappiamo che non è così: ci sono anche tante voci di forte dissenso - registrava Parolin - che si levano dal mondo ebraico contro la modalità con cui l’attuale governo israeliano ha operato e sta operando a Gaza e nel resto della Palestina dove – non dimentichiamolo – l’espansionismo spesso violento dei coloni vuole rendere impossibile la nascita di uno Stato Palestinese. Vediamo la testimonianza pubblica dei familiari degli ostaggi”.

“Non possiamo dimenticarci di quanto è accaduto nel cuore dell’Europa con la Shoah, dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze perché questo male non rialzi la testa. Dobbiamo al tempo stesso fare in modo che mai siano giustificati atti di disumanità e di violazione del diritto umanitario: nessun ebreo deve essere attaccato o discriminato in quanto ebreo, nessun palestinese per il fatto di essere tale deve essere attaccato o discriminato perché – come purtroppo si sente dire – 'potenziale terrorista'. La perversa catena dell’odio - avverte - è destinata a generare una spirale che non può portare nulla di buono. Spiace vedere che non si riesca a imparare dalla storia, anche recente, che resta maestra di vita”.

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