
L'ex ambasciatore a Teheran: "Difficile fare previsioni su ripresa negoziato, c'è problema credibilità Usa e base da cui si riparte"
Il post Khamenei "non è per domani", quello che sarà dipende tutto dal momento in cui avverrà, ma è un fatto che si vada verso "un progressivo esaurimento del sistema della Repubblica islamica delle origini", con una “legittimazione religiosa ancora più ridotta" di quella dell'attuale Guida suprema, inclusa l’opzione di una dirigenza collegiale. Luca Giansanti, ex ambasciatore italiano a Teheran, sottolinea la difficoltà di fare previsioni su quello che potrebbe succedere in Iran alla morte dell'ayatollah Ali Khamenei - oggi ricomparso con un video messaggio nel quale ha rivendicato "la vittoria contro il regime sionista, sotto i colpi inferti dalla Repubblica islamica" - non solo per la poca "trasparenza" del regime sulle dinamiche interne, ma anche perché solo una volta, in 46 anni, si è assistito a uno scenario dal genere, dopo la morte di Khomeini nel 1989.
Così come è difficile fare previsioni sui tempi di una ripresa del negoziato tra Teheran e Washington, nonostante gli annunci di Donald Trump, convinto che si possa tornare al tavolo già la prossima settimana. "C'è un tema di credibilità della controparte", dopo che Teheran, mettendo da parte quanto successo nella prima amministrazione Trump, aveva deciso di dare fiducia alla soluzione diplomatica, sostiene Giansanti in un'intervista all'Adnkronos. Senza contare che non è più neanche chiaro quale possa essere "la base del negoziato".
"Saranno 15 anni che sento queste cose, che Khamenei sarà l'ultima Guida suprema - commenta l'ex ambasciatore a Teheran ed ex direttore degli Affari politici della Farnesina - Tra le opzioni c’è sempre stata quella di una dirigenza collegiale ma nessuno sa veramente cosa succederà, perché nella storia della Repubblica islamica questo passaggio si è verificato solo una volta, da Khomeini e Khamenei nel 1989 e in quel caso si risolse in 24 ore".
Certo, l'ayatollah "è profondamente indebolito e non è di oggi la crescita del potere dell'apparato militare e industriale, che ha il controllo del Paese ma allo stesso tempo ha dimostrato di non saperlo difendere" dagli attacchi di Israele e Stati Uniti, sottolinea Giansanti. Che poi, rilevata la difficoltà di leggere le dinamiche di un Paese che "non è trasparente" su quello che succede all'interno, ricorda come "la linea guida di Khamenei sia sempre stata quella della sopravvivenza della Repubblica islamica e immagino ancora che sia quella la legacy che vuole lasciare". Il discorso di oggi ne è la conferma, con la rivendicazione della vittoria "schiacciante sul regime sionista".
E in effetti, se pure l'Iran "non sia uscito affatto vittorioso" dal conflitto, ha mostrato ancora una volta "la sua tradizionale resilienza, perché, pur essendo la sua inferiorità conclamata, è riuscito a resistere per 12 giorni e i gangli del sistema non sono stati travolti", ragiona l'ex ambasciatore. Il prossimo passaggio è cercare di capire se il regime sarà in grado di recuperare legittimità agli occhi del suo popolo, mentre, "con la scusa delle infiltrazioni israeliane, ha ripreso una repressione spietata".
In ogni caso, osserva Giansanti, "il post Khamenei non sembra essere per domani e qualora si dovesse presentare l'occasione di un passaggio di consegne, tutto dipende dal momento in cui questo avverrà: quello che è vero è che siamo di fronte ad un progressivo esaurimento del sistema della Repubblica islamica delle origini, perché la Guida suprema non ha mai avuto o conquistato quella autorevolezza in ambito religioso che aveva Khomeini e c'è da immaginare che con altri successori questa legittimità si ridurrà ancora di più". Di qui, spiega, "l'opzione della collegialità della guida, che snaturerebbe sempre di più le fondamenta della Repubblica islamica".
Quanto allo scenario di una prossima ripresa del negoziato, Giansanti sottolinea come sia "veramente difficile prevedere adesso se si riuscirà a tornare al tavolo delle trattative". "La soluzione diplomatica - ricorda l'ex ambasciatore che la seguì anche in prima persona - è quella che per più di 20 anni è stata perseguita, e giustamente, per risolvere la crisi iraniana, da Teheran e dalla comunità internazionale". Ma dopo che Israele e Stati Uniti "hanno brutalmente interrotto quella dinamica è difficile valutare quale sarà l'impatto, presumibilmente ci vorrà un po' di tempo per far sedimentare" la rabbia iraniana e anche il senso di tradimento.
Per Giansanti, infatti, "c’è un tema di credibilità della controparte: gli iraniani avevano deciso di riporre fiducia in questa seconda amministrazione Trump, nonostante quello che era successo nella prima, con gli Stati Uniti che si erano ritirati dall'accordo sul nucleare e che avevano ucciso Soleimani". "L'Iran - sottolinea - aveva comunque scommesso sull'opzione diplomatica e aveva immaginato di trovare un interlocutore più affidabile di quanto non lo fosse stato Biden, che aveva il problema di non avere dalla sua il Congresso sull'eventuale passaggio di una revoca delle sanzioni".
Oltre a tutto questo, finora, "grazie all'Aiea e alla disponibilità iraniana, si conosceva il livello di partenza, ancora oggi i tre siti bombardati erano noti all'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Ma adesso questa linea è saltata, qual è la base da cui si riparte?", si chiede infine l'ex ambasciatore.