
Il punto di vista di Marco Follini per Adnkronos
"Prendiamo due figure agli antipodi, Giorgia Meloni e Dario Franceschini. La prima si sgola a denunciare una vera e propria 'campagna d’odio' che la starebbe prendendo di mira. E intanto lascia che un suo ministro evochi il fantasma delle Brigate rosse e che uno dei suoi vicepremier metta in guardia contro i 'cattivi maestri'. Come se fossimo ancora nel pieno degli anni settanta, allorché davvero la violenza era annidata in ogni angolo delle nostre strade.
Il secondo teorizza che non è più il tempo dei 'moderati', che non è affatto vero che si vince al centro e che anzi il compito fondamentale dell’opposizione è di fare il pieno dei 'suoi' voti, anche i più estremi, lasciando perdere una volta per tutte la chimera che si possa trascinare alle urne l’elettorato che una volta si sarebbe detto intermedio.
Non c’è bisogno di ricordare quanto i due siano diversi, per usare un riguardo all’una e all’altro. Li divide la storia, il passato, quel che resta delle loro ideologie e militanze. Ma poi la singolarità di questo momento politico fa sì che, dai lati opposti, finiscano per interpretare la sfida che li impegna alla stregua di un metodo, o di una tecnica, che finisce inavvertitamente per accomunarli. Cosa della quale è assai probabile che non voglia avere piena contezza nessuno dei due.
Nessuno dei due per l’appunto sembra far caso ai contraccolpi che il loro stato d’animo, così fervente, può produrre. Infatti non sembra davvero che nel paese si stia scatenando una bufera di avversione contro la premier. La quale è figura assai controversa, certo. Ma è tale per sua volontà e strategia. E comunque ella incrocia politicamente i ferri con un’opinione pubblica che non sembra proprio riservare a lei tutte le contumelie di cui sono stati fatti oggetto molti altri primi ministri in anni non troppo lontani. Dagli 'scarponi chiodati' con cui Togliatti voleva regolare i suoi conti con De Gasperi alle accuse di 'fanfascismo' rivolte dall’estrema sinistra al povero Fanfani.
E di converso non sembra davvero che l’opposizione possa mai avere qualche possibilità di vittoria finché insiste a radicalizzarsi, nella convinzione che si possano tranquillamente abbandonare al loro destino quelle molte migliaia di elettori che non si recano più ai seggi pur di non perdere il contatto con le frange più estreme che premono per dare al centrosinistra una coloritura sempre più radicale e qualche volta perfino politicamente abrasiva.
S’intende che i due ragionamenti alla fine sono speculari. E ci avvisano che da entrambi i lati di questa barricata ci si appresta a una lunghissima campagna elettorale che si giocherà tutta sulla reciproca distanza politica e direi quasi esistenziale. Destra e sinistra stanno scommettendo tutto sulla polarizzazione. Convinti entrambi, alla fin fine, che si debba fare appello alla pancia degli elettori pronti ad arrabbiarsi piuttosto che ai dubbi e alle perplessità che frullano nella testa di quelli fermi ad interrogarsi.
Ora, può darsi che ci toccherà scoprire che una di queste due strategie infine si rivela quella giusta. Ma è matematicamente e politicamente impossibile che ad essere giuste siano tutte e due. Poiché una contesa a testa bassa, come quella che si annuncia, promette rovina alla parte che perderà e annuncia più di qualche difficoltà anche alla parte che si affermerà. Con l’inevitabile conseguenza di rendere la contesa assai più aspra del solito -al netto delle lamentazioni di rito.
Sono le delizie del bipolarismo, si dirà. E infatti sia Meloni che Franceschini sono tutti e due adepti di questa religione politica e istituzionale, convinti da sempre della fondamentale bontà di questa modalità di confronto.
Il punto è però che le modalità del bipolarismo sono più d’una. E dovrebbe far parte della nostra saggezza scegliere quella che è più consona alle nostre esigenze. C’è un bipolarismo temperato, che gioca a conquistare gli incerti ed evita come la peste l’eccessiva radicalizzazione degli schieramenti. E c’è un bipolarismo diciamo così più muscolare, che mira a fare d’ogni erba un fascio (absit iniuria…) e rischia così di consegnare alle posizioni più estreme un diritto perfino maggiore di quello che discende dagli esiti del voto.
Nel primo caso ogni forma di centrismo è vissuta come un’eresia, nel secondo caso diventa piuttosto una risorsa. Dovrebbe essere interesse di entrambi, Meloni e Franceschini, condividere la seconda e più mite versione. E invece pare che entrambi, per vie diverse, siano approdati a alla versione più muscolare del gioco reciprocamente in corso tra i due schieramenti. E’ certo, che una delle due scommesse si rivelerà sbagliata. Ma il rischio maggiore -per paradossale che possa sembrare- è che l’errore finisca per essere di tutti e due". (di Marco Follini)