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Korn, Firenze celebra i 31 anni dei rivoluzionari del metal

Un’ora e mezza di show per la band californiana headliner del secondo giorno di Firenze Rocks tra hit del passato, suoni distorti e testi cupi

Jonathan Davis  dei Korn (Fotogramma/Ipa)
Jonathan Davis dei Korn (Fotogramma/Ipa)
14 giugno 2025 | 10.29
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Trentun’anni sulle spalle e ancora zero intenzione di rallentare. I Korn sono i protagonisti assoluti alla Visarno Arena per la seconda giornata di Firenze Rocks, sotto un caldo da apocalisse che non ferma i fan arrivati da tutta Italia. Il metal è uno di quei generi che si portano dietro una liturgia ben precisa: intro, ritornello, assolo, ritornello, fine. Ma ogni tanto qualcosa arriva a rompere lo schema. È successo nel 1994, quando una band della California ha ribaltato tutto: niente assoli, chitarre ribassate, testi cupi e disturbanti, ritmiche hip hop. Testi inquietanti con al centro filastrocche infantili, salute mentale, depressione e senso di alienazione. Nasceva il nu metal, e a guidarlo c’erano loro: i Korn.

Salto in avanti di 31 anni ed ecco la Visarno Arena una fornace a cielo aperto. Il caldo bollente non dà tregua ma nessuno si muove di un centimetro: la band di Bakersfield si merita questo sacrificio fisico che diventa parte integrante dell’esperienza. Eccoli i fan, arrivati dal mattino per posizionarsi in transenna, tutti qui per Jonathan Davis e soci, preceduti dai set di LOccasione, Atwood, Soft Play ed Enter Shikari mentre i Public Enemy, nome storico dell’hip hop militante e politicizzato made in Usa, sottolineano il carattere ibrido e contaminato della serata. I Korn non hanno bisogno di presentazioni e tanto meno di orpelli. A parlare, ancora una volta, sono le ritmiche sincopate, i riff slabbrati e le dissonanze irregolari che gli sono valsi il titolo di re del genere. I growl, i passaggi parlati e il modo inconfondibile di Davis di lanciarsi in filastrocche in una lingua inventata da lui stesso fanno il resto, con un’intensità che ancora oggi non accenna a calare.

I Korn salgono sul palco alle 22.15. Nessun effetto speciale eclatante o scenografie teatrali. Solo un palco, cinque musicisti e un suono che, da più di trent’anni scava nel profondo e che si riconosce a occhi chiusi: chitarre a sette corde con accordature bassissime, basso usato come uno strumento a percussione, ritmiche schizofreniche e una voce straziata e straziante che sa essere melodica e inquietante. ‘Blind’ apre le danze. L’intro ai piatti di Ray Luzier, alla batteria dal 2009 e un’assoluta macchina di precisione, è uno di quelli che hanno fatto la storia, ed esplode nei riff di Munky e Head che dialogano tra loro. Quando Davis, in t-shirt e kilt neri sputa nel microfono “Are you ready?”, nessuno è più padrone dei propri movimenti.

L’esplosione incontrollata tra i corpi sudati sotto al palco va di pari passo con quello che accade sopra. Davis corre da un lato all’altro, incita la folla dietro la sua celebre asta del microfono in acciaio, la figura femminile biomeccanica creata da H.R. Giger che da oltre vent’anni accompagna ogni performance come un totem personale. La tiene stretta, ci si appoggia, la abbraccia, la affronta come fosse un’estensione del suo corpo e della sua voce. Il concerto è un viaggio nell’evoluzione del nu metal che ha influenzato generazioni di adolescenti e aperto la strada a band come Linkin Park, Deftones, Slipknot e oltre. Funk, rap, doom e hardcore miscelati senza chiedere il permesso.

In scaletta i brani più iconici, come la filastrocca non-sense di ‘Twist’, ‘Here to stay’, ‘Clown’, ‘Got The Life’, ‘A.D.I.D.A.S.’ si alternano ai suoni più recenti di ‘Twisted Transistor’ e ‘Did My Time’. ‘Shoots and Ladders’ è il momento clou: il suono della cornamusa, suonata dallo stesso Davis, si alza su Firenze prima di precipitare in un breakdown violentissimo che sfocia in una cover parziale di ‘One’ dei Metallica, suonata con la stessa disperazione. “È una notte fantastica - dice David rivolgendosi alla folla - è bellissimo essere tornati qui”. Il finale con ‘Falling Away From Me’, ‘Divine’ e ‘Freak On A Leash’ è la tempesta perfetta prima della calma con gli auguri di buon compleanno al batterista intonati dal pubblico. I Korn non sbagliano: ogni pezzo tiene alta la tensione nel pubblico, ed è un po’ come andare sulle montagne russe, tra urla feroci e melodie che picchiano duro, mentre il caos dei corpi impolverati e sudati che sotto palco si spingono e si ammassano uno sull’altro regna sovrano. Qualcuno direbbe che è come una partita di rugby senza regole e senza pallone.

La cosa più sorprendente di questo show è come a trent’anni di distanza, i Korn siano ancora lì (‘Here to stay’ come recita uno dei loro singoli più famosi), al confine tra rottura e redenzione. La loro musica fatta di inquietudine urbana e caos primordiale ha portato il cambiamento in un mondo che continuava, alla fine degli anni ‘80 e inizi anni ‘90, a glorificare belle ragazze, stili di vita improbabili e feste senza fine, per dare voce alla rabbia e al senso di inadeguatezza di chi a quelle feste non era invitato. Inconfondibili e uguali solamente a sé stessi. E’ questo che fanno i veri innovatori. Ed è questo aspetto della musica dei Korn che i fan di Firenze hanno voluto celebrare. (di Federica Mochi)

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