
Il fondatore del gruppo napoletano non esclude una sua partecipazione al corteo del 6 settembre: "CasaPound? Non voglio sia sfrattato, spero scompaiano i suoi valori"
“Siamo diventati un Paese conservatore, triste e intrinsecamente fascista. Ecco cosa significa per me la chiusura del Leoncavallo, uno spazio che ha prodotto cultura per decenni". Marco Messina, uno dei fondatori del gruppo musicale napoletano 99 Posse, si esprime così all'AdnKronos sullo sgombero dello storico centro sociale milanese avvenuto la mattina di giovedì 21 agosto. Insegnante all’Accademia delle belle arti di Palermo, Messina ha vissuto in prima persona l’esperienza del Leoncavallo. Ricorda la sua partecipazione all’occupazione della sede di via Watteau 31 anni fa, era l'8 settembre del 1994. Ricorda i concerti, "almeno una decina", del suo gruppo. Ma anche quelli a cui ha assistito come spettatore: “Per i Public Enemy, c’era mezza Italia. Ma dall'America arrivavano anche gruppi meno noti, penso ai Fuzztones e ai Fugazi". Il prossimo 6 settembre è stato indetto un corteo nazionale di protesta, a Milano: "Dipenderà dagli impegni, abbiamo diverse date in giro per l’Italia. Ma se posso, io ci sarò senz'altro”. Per Marco Messina e i 99 Posse, il Leoncavallo "ha formato generazioni di cittadini e di artisti. Ha offerto un luogo d'incontro per ragazzi e ragazze, un luogo d'incontro e di confronto. Di crescita e di nascita di nuove realtà culturali, grazie al quale decine di gruppi si sono fatti conoscere. Lo ha fatto per 50 anni. Luoghi così andrebbero preservati: altro che sgombero, solo per i graffiti all'interno dovrebbe essere un museo".
Sul tema della legalità, Messina ritiene che ancora oggi esistano "leggi ingiuste: non è la stessa cosa ma Rosa Parks disubbidì a una legge che la obbligava a cedere il posto a un bianco. Se non avesse infranto quella legalità -prosegue- non ci sarebbe stata la scintilla a quel processo che ha poi portato gli afroamericani ad avere 'quasi' tutti i diritti dei bianchi". I 99 Posse sono stati fondati all'Officina 99 di Napoli, la cui storia ha dei punti in comune con il Leoncavallo. Spiega Messina: "Capisco l’esigenza di restituire il luogo al proprietario. Occupammo lo spazio Officina 99 nel 1991, volevamo trasformarlo in un luogo di aggregazione con prezzi calmierati. E' finita che il Comune ha comprato lo stabile per poi assegnarlo agli occupanti". Dopo lo sfratto del centro sociale milanese, c'è chi ritiene debba accadere la stessa cosa con la sede di Casa Pound in via Napoleone III a Roma, abusiva dal 2003. Per Messina non accadrà nulla, perché "Casa Pound è funzionale al potere. Non si possono fare paragoni, il Leoncavallo ha creato comunità, controcultura, artisti. Lì si produce odio e razzismo. Non voglio sia sfrattato l'immobile, voglio che quei valori scompaiano".
Per Messina, quello che va a sparire sono anche i luoghi dove socializzare. E prende di nuovo come esempio la sua città di origine, Napoli: "Ormai bisogna spendere anche di giorno. Hanno ristrutturato Piazza Dante e Piazza Municipio, niente panchine, niente alberi per l’ombra. Bisogna per forza sedersi in qualche bar, dove i prezzi sono sempre più alti. Tutto s'incarna in un meccanismo in cui ogni servizio deve per forza essere economicamente produttivo. Come le scuole, che invece dovrebbero essere socialmente produttive". Da qui, il timore che le città e in generale l'Italia stiano diventando sempre più a misura di ricchi: "Da una parte viviamo grazie alla nostra eredità culturale, dall'altra si dice che con la cultura non si mangia. I problemi della gestione dei fondi per lo spettacolo oggi si risolvono tagliando i fondi. Come un disegno volto a distruggere la cultura". E qui torniamo ai centri sociali sgomberati, conclude Messina. Che dice: "Con la repressione non si risolve niente. Bisogna creare qualcosa nelle periferie che faccia vivere bene anche chi è in difficoltà. Originariamente i centri sociali nascono proprio per risolvere questo problema. Oggi spazzano via tutto, solo per il decoro". (di Giacomo Iacomino)