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Smart working? Aziende richiedono più presenza fisica ma dipendenti non rinunciano a flessibilità

L'analisi delle normative e della regolamentazione attuale dell'avvocato giuslavorista Francesco La Badessa

Francesco La Badessa
Francesco La Badessa
11 settembre 2024 | 15.01
LETTURA: 2 minuti

“Le aziende richiedono più presenza fisica nel rispetto comunque di una flessibilità operativa, digitalizzazione sicura e nuovi metodi di gestione e monitoraggio delle performance. Al contempo, cercano anche di mantenere la cultura aziendale e di promuovere il coinvolgimento dei dipendenti. D'altra parte, i lavoratori chiedono flessibilità, supporto tecnologico adeguato, chiarezza nelle aspettative e un appropriato work/life balance, inclusa la salvaguardia del diritto alla disconnessione”. Lo dice in un’intervista all’Adnkronos/Labitalia Francesco La Badessa, avvocato giuslavorista dello Studio Ichino Brugnatelli, facendo il punto sullo smart working.

“E’ auspicabile - suggerisce - un aggiornamento normativo per lo smartworking. Le modalità di lavoro si sono evolute rapidamente e le normative devono riflettere questi cambiamenti, garantendo flessibilità e tutela dei diritti dei lavoratori. Un aggiornamento normativo è necessario per garantire ancora più spazio di manovra alle parti sociali e, soprattutto, alla contrattazione aziendale, unico strumento effettivamente in grado di recepire correttamente le esigenze di entrambi le parti contraenti di un rapporto di lavoro”.

Il giuslavorista pone l’accento anche sulle criticità che “derivano principalmente da una cultura del controllo e dalla difficoltà di comunicazione a distanza, che possono minare la fiducia. Tuttavia, lo smart working offre anche benefici significativi, come maggiore autonomia, flessibilità e innovazione nelle pratiche manageriali, che possono rafforzare il rapporto fiduciario. In Italia, dove le relazioni personali sono fondamentali, bilanciare queste dinamiche è cruciale”.

“Attualmente - ricorda - lo smart working è regolato da diverse normative. La principale è la Legge n. 81 del 2017, che ha introdotto il concetto di 'lavoro agile'. Durante la pandemia, il Decreto Legge n. 34 del 2020 ha semplificato le procedure per l'adozione dello smartworking. Da ultimo, la Legge n. 61 del 2023 ha prorogato temporaneamente alcune misure emergenziali. Inoltre, molti accordi aziendali e collettivi hanno definito ulteriormente le modalità di applicazione del lavoro agile.

A quattro anni dalla pandemia, come si è evoluto da allora lo smartworking in Italia? “Lo smartworking in Italia - spiega - ha subito una notevole trasformazione, ancora in atto. Inizialmente adottato come misura emergenziale e poi diventato, nel biennio 22-23, pratica consolidata in molte aziende. Si è passati improvvisamente da una situazione in cui era limitato a poche realtà, a una sua diffusione massiccia, con molti datori di lavoro che hanno integrato modelli di lavoro ibrido, alternando giorni in ufficio e giorni di lavoro da remoto. Nel 2024, poi, qualcosa è cambiato".

“In Europa - aggiunge Francesco La Badessa - l'adozione dello smartworking varia da paese a paese. Paesi come la Germania e i Paesi Bassi hanno normative più consolidate e flessibili, mentre altri hanno introdotto regolamentazioni più recentemente. Le criticità e i benefici sono simili a quelli italiani, ma le diverse culture lavorative influenzano il modo in cui lo smartworking viene percepito e applicato”.

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