
Con un Pil di 1770 miliardi di dollari, e una rating tripla A riconosciuto da tutte le principali agenzie, l'Australia è una economia ricca e diversificata. Ma non tranquilla (e non potrebbe essere altrimenti). Non stupisce dunque che i nodi dell'economia siano stati al centro della campagna elettorale, anche in questo caso - come per il Canada - turbata dalle prese di posizione dell'Amministrazione Trump.
Alla vigilia del voto di domani S&P ha però comunicato un taglio nelle stime economiche sul Pil di Canberra nel 2025 che dovrebbe scendere a +1,7%, assai vicino al +1,6% previsto la scorsa settimana dal Fondo Monetario Internazionale (-0,5 punti rispetto alla valutazione precedente). E la stessa agenzia ha lanciato l'allarme sul rischio di perdere il rating ‘top’ a causa dei deficit strutturali più ampi e dell'aumento del debito e delle spese per interessi. Naturalmente tutte le stime sono condizionate all’impatto reale dei dazi. Le stime del Fondo Monetario – che implicano un Pil inferiore di 13 miliardi di dollari rispetto a quanto previsto a gennaio - contrastano con la valutazione ottimistica del Tesoro australiano, secondo cui il danno economico derivante dalle misure protezionistiche globali sarebbe solo "modesto".
Le ultime previsioni di bilancio formulate da Canberra a fine marzo (nell’imminenza dei dazi) prevedevano che l'economia australiana sarebbe cresciuta del 2,25% nel 2025 ma l’opposizione ha denunciato una sottovalutazione delle ricadute economiche delle tariffe soprattutto se i prezzi delle materie prime chiave – minerale di ferro e carbone – dovessero calare più rapidamente del previsto.
I dati della Banca Centrale – la Reserve Bank of Australia che ha tagliato il tasso di riferimento al 4,1% – mostrano un’inflazione tornata sotto controllo al 2,4% mentre la disoccupazione è al 4,1% con retribuzioni attese in crescita del 3,2% .