Cosa rispondere a un filoputiniano durante il cenone di Capodanno

Franz Gustincich, autore di ''Fatti Travagliati'', parla all'Adnkronos del libro e della sua uscita da 'Limes': ''Pluralismo di voci? Caracciolo per anni non ha risposto alle mie proposte di articoli sull'Ucraina''

Fatti Travagliati di Franz Gustincich
Fatti Travagliati di Franz Gustincich
31 dicembre 2025 | 13.41
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Arriva sempre un momento, durante il cenone di Capodanno o durante le serate delle feste, in cui qualcuno posa la forchetta, sospira e dice: “Comunque in Ucraina non è come ce la raccontano”. Da lì in poi, può succedere di tutto. Parte il monologo, spuntano “verità che i media non dicono”, e nel giro di pochi minuti Putin diventa un pacifista frainteso, l’Occidente il vero aggressore, e la Nato una Spectre che non ce l’ha fatta.

È per questi momenti (ma anche per le conversazioni al bar, in spiaggia, davanti alla scuola dei figli) che nasce Fatti travagliati. Come rispondere a un propagandista filorusso e difendersi dalla disinformazione, il libro di Franz Gustincich, fotoreporter e giornalista, pubblicato per F&Co. edizioni (disponibile qui). Un manuale ironico ma documentato, che prova a rimettere ordine nel caos informativo che circonda la guerra in Ucraina e, più in generale, il modo in cui si costruisce la propaganda.

Di Gustincich in queste settimane si è parlato anche perché è stato, insieme a Federigo Argentieri e Giorgio Arfaras, tra coloro che hanno abbandonato il comitato redazionale di “Limes”, come emerso dall’intervista ad Argentieri pubblicata dall’Adnkronos. A questa agenzia oggi racconta che Lucio Caracciolo, fondatore e direttore della rivista, negli ultimi anni aveva smesso di rispondergli al telefono e alle email. “Dopo la nostra uscita ha replicato dicendo che Limes è aperto a tutte le voci, eppure le mie proposte di articoli, soprattutto se si parlava di Russia e Ucraina, non venivano neanche respinte, ma direttamente ignorate”.

Il libro nasce prima dell’uscita da “Limes” e da un’esperienza molto concreta: l’autore racconta di aver iniziato a scriverlo dopo aver risposto per mesi sui social a utenti che ripetevano slogan, mezze verità e narrazioni costruite ad arte, spesso senza rendersene conto. Un lavoro di “pronto soccorso cognitivo” che, pagina dopo pagina, è diventata una guida alla sopravvivenza comunicativa. "A chi mi dice che la propaganda la fa anche L'Ucraina, rispondo che è vero. La propaganda è una forma di pubblicità. Quella pericolosa per i sistemi democratici è la disinformazione, ancor più se usata come arma strategica come fa la Russia", aggiunge Gustincich.

Una guida per difendersi, non per convincere

Che chiarisce subito un punto fondamentale: non scrive contro le persone, ma contro i meccanismi. Il suo bersaglio non è “il disinformato”, bensì “il disinformatore”. E soprattutto quei sistemi - politici, mediatici, digitali - che rendono la disinformazione non solo possibile, ma efficace.

C’è poi un dettaglio non casuale, il titolo del libro. Fatti travagliati sembra giocare sull’assonanza con il cognome di Marco Travaglio, una delle voci più riconoscibili (e più ascoltate) nel dibattito pubblico italiano, nonché una delle figure che, secondo Gustincich, hanno contribuito a rendere permeabile una parte dell’opinione pubblica italiana alle posizioni di Mosca. Il riferimento non è mai urlato né caricaturale, ma è evidente: quei “fatti travagliati” sono fatti manipolati, piegati, “lavorati” proprio come fa chi usa l’informazione non per chiarire, ma per orientare emotivamente. L’assonanza funziona così come chiave ironica e critica insieme: non un attacco personale, ma un segnale per il lettore, un invito a interrogarsi su come certe ricostruzioni, pur presentandosi come controcorrente o anticonformiste, finiscano per svolgere un ruolo centrale nel legittimare le tesi del Cremlino nel dibattito pubblico occidentale.

Nel libro si spiega con chiarezza come funziona la propaganda contemporanea: non più solo bugie evidenti, ma ‘storytelling’ ibrido, dati decontestualizzati, tecniche di saturazione informativa. L’obiettivo non è convincere, ma confondere. Non far credere una cosa, ma far dubitare di tutto. È qui che, secondo Gustincich, si gioca la partita più pericolosa per le democrazie occidentali.

La disinformazione non serve tanto a far vincere una tesi, quanto a minare la fiducia stessa nella possibilità di distinguere il vero dal falso. Ed è per questo che funziona così bene nelle società aperte, in cui il pluralismo è una ricchezza ma anche una vulnerabilità.

Dal “cervello rettile” ai social network

Perché siamo così vulnerabili? Dipende dal nostro “cervello rettile”: una reazione istintiva, primordiale, che ci porta a percepire minacce anche dove non ce ne sono, perché (è la teoria evolutiva a spiegarlo) era meglio scappare da un pericolo immaginario che ignorarne uno reale.

Oggi quella reazione si è trasferita nel campo dell’informazione. Il risultato è una miscela esplosiva di paura, appartenenza tribale e semplificazione estrema, che rende molti individui impermeabili ai fatti ma sensibili alle emozioni. È qui che il lavoro del Cremlino, che investe miliardi e impiega centinaia di migliaia di persone in questa impresa, trova terreno fertile.

Ed è anche qui che il libro diventa particolarmente utile: non predica, ma spiega. Mostra come funzionano le tecniche di manipolazione, dal cherry picking alle false equivalenze, dal vittimismo strategico all’uso strumentale dell’autorità accademica.

I “professionisti della narrazione”

Una parte centrale del volume è dedicata all’analisi di alcune figure pubbliche molto presenti nel dibattito italiano. Gustincich ne studia lo stile comunicativo, non per demonizzarle, ma per mostrare i meccanismi retorici che utilizzano: l’accumulo di dati non verificabili, l’uso emotivo del linguaggio, la costruzione del nemico, la trasformazione dell’opinione in “verità alternativa”.

Non è un libro di invettive personali, ma una sorta di anatomia del discorso pubblico. Ed è proprio questo che lo rende efficace: invece di dire “non credetegli”, insegna come riconoscere quando qualcuno sta facendo un discorso imbevuto di disinformazione.

Una difesa della “democrazia cognitiva”

Il cuore teorico del libro è l’idea di “democrazia cognitiva”: una società in cui la libertà non si misura solo dal diritto di parola, ma dalla capacità collettiva di comprendere, verificare, distinguere. Senza questa competenza diffusa, la democrazia resta formale, fragile, facilmente aggirabile.

Gustincich insiste su un punto: la risposta alla disinformazione non può essere solo la censura o l’indignazione, ma l’educazione al pensiero critico, alla verifica, alla complessità.

Gli ucraini non esistono

Uno dei capitoli più efficaci è quello dedicato all’idea - ripetuta ossessivamente da Putin - che “gli ucraini sono un popolo inventato, e che in realtà sono russi”. È una tesi che ha trovato spazio anche nel dibattito pubblico occidentale, spesso senza alcun filtro critico. L’obiettivo è chiaro: negare all’Ucraina una soggettività storica, culturale e politica, così da rendere l’invasione una sorta di “ricomposizione naturale” di ciò che sarebbe sempre stato russo.

Un’operazione di revisionismo costruita su semplificazioni grossolane. È vero che russi e ucraini condividono radici comuni nella Rus’ di Kyiv, ma da lì in poi le loro traiettorie si separano nettamente. Mentre la Moscovia evolve verso un modello autocratico, le terre ucraine si muovono dentro uno spazio politico e culturale plurale, influenzato dall’Europa centrale, dal diritto consuetudinario, dalle istituzioni cosacche e da forme precoci di rappresentanza. Già nel Medioevo, ricorda Gustincich, esistono identità, lingue e strutture politiche distinte, ben lontane dall’idea di un “popolo unico”.

Il capitolo ricostruisce anche come questa differenza sia stata sistematicamente rimossa dalla narrazione russa contemporanea, che trasforma la storia in uno strumento di legittimazione geopolitica. Dire che “gli ucraini non esistono” serve a giustificare l’annientamento della loro sovranità, presentando l’invasione come una correzione della storia, non come una violazione del diritto internazionale. Concetto potente proprio perché semplice, emotivo, rassicurante per chi lo ascolta.

Gustincich mostra però come questa versione non regga alla prova dei fatti: dall’esistenza di una lingua ucraina codificata già in epoca moderna, alla tradizione costituzionale cosacca, fino alle persecuzioni subite sotto l’Impero zarista e poi sotto l’Unione Sovietica. Tutti elementi che raccontano una nazione con una traiettoria autonoma, non una “propaggine” della Russia. La storia è complessa, stratificata, spesso scomoda. E proprio per questo viene semplificata dalla propaganda.

Perché leggerlo (prima del prossimo pranzo di famiglia)

Fatti travagliati è un libro che si legge come un manuale di autodifesa civile. Serve a chi si informa, a chi discute, a chi lavora nei media, ma anche a chi semplicemente vuole capire perché certe frasi fatte attecchiscono così facilmente.

È una guida pratica per riconoscere la manipolazione quando si presenta con il volto rassicurante dell’“opinione alternativa”. Ed è anche un invito, mai moralistico, a recuperare il gusto del dubbio, della verifica, della responsabilità individuale. (di Giorgio Rutelli)

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