Israele-Iran, direttore dell'ospedale di Ashkelon: ''Sappiamo di essere obiettivo, preparati a guerra''

Ron Lobel parla di rischio aumentato rispetto al dopo 7 ottobre, gli iraniani attaccano con missili balistici

Macerie e distruzione in Israele (Afp)
Macerie e distruzione in Israele (Afp)
19 giugno 2025 | 16.34
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Nella notte tra giovedì e venerdì scorso, mentre partivano i primi raid aerei israeliani contro l'Iran, Ron Lobel, direttore dei Servizi di emergenza di emergenza del Barzilai Medical Center ad Ashkelon, era in ospedale. Non per un turno di notte, ma ''per preparare gli ospedali alla guerra'', perché ''sapevamo che gli ospedali sarebbero stati un obiettivo dei nostri nemici, che prima o poi sarebbero stati colpiti da un missile'' anche se ''è triste, è assurdo che gli ospedali vengano presi di mira''. Ore dopo l'attacco iraniano che ha colpito l'ospedale di Soroka a Beer Sheva, Lobel spiega all'Adnkronos che ''la tensione è molto, molto alta''. Come ''notevolmente aumentato è il rischio''. Presente in ospedale quando il Barzilai Medical Center è finito sotto l'attacco di Hamas un anno e mezzo fa, il direttore medico spiega che questa volta è diverso. ''I razzi palestinesi che hanno colpito l'ospedale Barzilai dopo il 7 ottobre erano relativamente piccoli, ora parliamo di missili balistici con mezza tonnellata di esplosivo, il rischio è totalmente diverso'', sottolinea.

Chi è Ron Lobel

Sopravvissuto al massacro del 7 ottobre del 2023, rimasto ''in casa per 13 ore pregando che non entrassero'' i miliziani di Hamas, mentre i suoi vicini venivano uccisi nel villaggio di Netiv Hasara a 300 metri dalla Striscia di Gaza, Lobel ha 75 anni, 45 dei quali passati in ospedale. L'incarico di Lobel è proprio quello di preparare l'ospedale a situazioni di emergenza, a disastri, all'arrivo di feriti in massa. E anche questa volta, ''ci siamo tristemente abituati'', ha lavorato per questo.

Il lavoro in ospedale dall'inizio della guerra

''Quando è cominciata questa fase della guerra, tutto il management dell'ospedale è arrivato presto e abbiamo iniziato a lavorare in tre direzioni'', spiega. ''Come prima cosa abbiamo preparato il pronto soccorso per ricevere feriti, mentre la seconda fase ha riguardato la dimissione di circa il 50 per cento dei nostri malati, quelli meno gravi'', prosegue. ''Si tratta di una operazione grande e complessa, perché ognuno aveva bisogno di una lettera con le indicazioni delle medicine necessarie per un po' di giorni, non sappiamo come funzioneranno le farmacia. Poi occorre coordinarsi con i medici e provvedere ai mezzi di trasporto'', spiega. La terza fase riguarda ''i malati più gravi, che non possono tornare a casa, e che sono stati trasferiti nei sotterranei blindati, in modo che siano protetti''. Così, ''in dieci ore l'ospedale era pronto alla guerra'', afferma Lobel.

''La tensione è molto alta, ma lo staff del nostro ospedale purtroppo è abituato a queste situazioni che si ripetono'', prosegue spiegando che ''abbiamo preparato degli spazi protetti per i bambini delle infermieri e dei medici che durante il loro turno non volevano lasciare i bambini a casa. Le scuole sono chiuse''.

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