"La mia donna? Una rockstar". Gabriele Moratti racconta la sua Redemption

Lo stilista, amato da Lady Gaga e Beyoncé, presenta la nuova collezione spring-summer 2026 e parla liberamente di musica, società e di certi luoghi comuni nella moda legati al 'sexy'

Gabriele Moratti (al centro) e due look della primavera-estate 2026
Gabriele Moratti (al centro) e due look della primavera-estate 2026
25 settembre 2025 | 08.56
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Tutto ci aspettavamo tranne che finire a parlare così profondamente di quello che ci circonda. La moda, in fondo, è solo un pretesto per farlo. Gabriele ‘Bebe’ Moratti, mente e anima di Redemption, brand noto per il suo stile audace e anticonformista, presenta a Milano la sua spring-summer 2026, un viaggio nel glamour degli anni ’80, tra volumi architettonici e drappeggi. Per questa intervista all'AdnKronos è seduto davanti alla videocamera con un cappellino al contrario e una t-shirt verde. L’impressione che dà è immediata: autentico, istintivo, lontano da schemi e formalità. Classe 1978, figlio di Gian Marco e Letizia Moratti, è una di quelle persone che ti colpisce subito per la sincerità. Uno con i piedi a terra, insomma, nonostante tra le fan del suo brand ci siano star del calibro di Lana Del Rey, Beyoncé, e Lady Gaga.

Chi è la donna per cui pensi e crei le tue collezioni e quest’ultima primavera-estate come nasce?

“La collezione…posso essere completamente onesto? Me la sono già dimenticata (scherza), penso direttamente alla prossima. La mia donna è potente, una guerriera. È consapevole, determinata a vivere secondo le proprie regole. Non segue le mode, le crea. È elegante ma non addomesticata. È una donna che lotta, che si schiera, che non ha paura di difendere i diritti umani e di dire quello che pensa, anche se è scomodo. Il punto di partenza è la rock star credo sia dentro ognuno di noi: ribelle, libera, iconoclasta".

Ci sono state rockstar che ti hanno ispirato particolarmente?

"Dall’inizio, Billie Holiday - che era molto jazz - ha affrontato il mondo da cantante di colore, con testi duri e rischiosi. Da Aretha Franklin a Janis Joplin, che era stata votata la ragazza più brutta del campus, ma non se ne è curata: aveva una voce meravigliosa e ha mostrato le sue vulnerabilità. Patti Smith ha portato la sua androginia, indossando abiti maschili e creando poesia e canzoni di protesta per i diritti umani. La moda per me ha lo stesso spirito: non esistono limiti di genere. Molti dei miei moodboard sono fatti da uomini, eppure si trasforma in femminilità, sensualità o ribellione a seconda di chi la interpreta. Mick Jagger ha trovato camicie della nonna e le ha fatte sue; Jimi Hendrix si vestiva da pirata non per imitazione, ma perché quello trovava nei mercatini. Lo stile diventa iconico quando rompe le regole, anche per necessità o per casualità".

Oggi questo spirito di ribellione manca nella moda?

"Manca nella società. I social rafforzano i nostri bias, restiamo passivi. Il mondo dell’arte si è appiattito: la moda è merchandising, la musica algoritmica, i testi non possono più provocare. Ma la ribellione giovanile serve: il punk diceva ‘vaffa’ e cambiava qualcosa. L’arte deve essere provocatoria per far riflettere, per portare un dialogo civile. Altrimenti la società si appiattisce: musica, cinema e moda diventano ripetizione di ciò che c’era dieci anni fa. Anche quando si crea un’innovazione, come una scarpa nuova, viene replicata in mille modi e perde forza".

Come traduci questa visione nella moda?

"Ad ogni collezione assegno un genere musicale, contestualizzato nel panorama socio-politico mondiale. La musica ha varie fasi, messaggi diversi. Nel 2016 ci siamo ispirati alla Factory di Warhol, un luogo di diversità totale che ha generato creatività in tutte le direzioni. Nel 2017, dopo le elezioni Usa che non sono andate come speravo, abbiamo fatto collezioni di ribellione, grunge, contro un sistema che diventava troppo corporate e profit-driven. Prima del Covid, arriviamo all’heavy metal. Al contrario di quello che pensano tante persone è un genere di musica molto pacifista, perché molte canzoni nella musica metal, da ‘The Trooper’ degli Iron Maiden, a ‘War Pigs’ dei Black Sabbath, fino a ‘One’ dei Metallica, parlano della brutalità della guerra e della necessità di umanità. Il nostro messaggio, sempre, passa attraverso la musica".

E il colore che colpisce di più nella collezione è il rosso.

Il rosso è un colore caro, d’impatto, un ‘fuck you’ a chi vuole che tu resti nell’ombra. Il viola è regale, legato all’aristo-rock, a Hendrix. Il giallo mi rimanda a ricordi personali. Non sono solo colori ma messaggi, attitudini, ribellione. A volte si dice 'Redemption è solo sexy'. No. Sexy che vuol dire? Sensuale sì, ci sto. Quando vado a un concerto vivo un'esperienza sensoriale, sensuale, i miei sensi sono tutti coinvolti. Mi viene la pelle d'oca, le lacrime agli occhi, mi si chiude lo stomaco, mi emoziono, sorrido. La persona sul palco ha una sensualità, perché si sta appellando ai miei sensi e ha la mia attenzione. Quello è il cuore, se usi la sensualità puoi appellarti al lato più profondo di chi la vive.

Come vedi il mercato oggi e la sostenibilità?

Dopo il Covid abbiamo perso il 70% del fatturato negli Usa, e abbiamo scelto di fare solo due collezioni all’anno: è sostenibile, riduce sprechi, mantiene la nostra identità. Non voglio seguire modelli imprenditoriali fallimentari o basati solo sul profitto. Il Made in Italy è stato un valore aggiunto: abbiamo collaborato con tessutai e modelliste di altissimo livello, imparando sul campo. La mia fortuna è lavorare con persone eccezionali, e il successo di Redemption è anche loro.

Quali mercati sono importanti oggi?

Stiamo ricostruendo Europa e Stati Uniti, con regole chiare: vogliamo essere selettivi, dire no a pre-collezioni o imposizioni dei department stores. In Cina non abbiamo mai venduto per scelta; il Giappone è un caso a sé.

Il tuo obiettivo personale?

Non voglio solo vendere, voglio entrare nella storia come essere umano, lasciare il mondo un po’ diverso. Se la moda o la musica possono risvegliare i sensi, far pensare, emozionare, hanno raggiunto il loro scopo. Redemption è il mezzo, non il fine: il cuore è sempre al servizio della donna che veste le nostre creazioni. Io non faccio questo lavoro per fama o soldi, ma per il piacere di creare, per la passione, per condividere con un team straordinario. Abbiamo vestito tante celebrity senza pagare mai nessuno: il piacere sta nel processo, nel vedere crescere una collezione, nel coinvolgimento umano. Il viaggio è ciò che conta, non la destinazione. Ogni giorno imparo qualcosa di nuovo: e questo, per me, è la vera ricchezza. (di Federica Mochi)

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