Riforma della giustizia, come si prepara il referendum

06 novembre 2025 | 17.06
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La riforma della giustizia procede verso il referendum. I partiti di maggioranza e una parte di quelli di opposizione hanno già presentato alla Camera e al Senato le richieste per indirlo, così come previsto dalla Costituzione per le leggi di stampo costituzionale che non hanno ottenuto la maggioranza dei due terzi nei due rami del Parlamento. Il prossimo passo, quindi, sarà quello di procedere alla raccolta firme necessarie, servono, infatti, 500.000 sottoscrizioni da parte degli elettori, oppure quelle di un quinto dei parlamentari di una delle due Camere, o ancora di cinque Consigli regionali. Una volta raccolte le firme necessarie, i moduli verranno inviati all’Ufficio centrale per il referendum, che avrà 30 giorni per verificare che tutto sia in regola. Se la Cassazione dovesse confermare la validità della richiesta, il Consiglio dei ministri chiederà al Presidente della Repubblica di indire il referendum attraverso l’emanazione di un Decreto presidenziale entro 60 giorni dalla richiesta. La data del voto, quindi, sarà fissata in una domenica compresa tra il cinquantesimo e il settantesimo giorno successivo al decreto del Presidente della Repubblica. Calendario alla mano, in questo caso, il referendum dovrebbe cadere tra marzo e aprile. La scheda referendaria riprodurrà il testo della legge che si è chiamati a confermare e il voto sarà, quindi, un semplice sì o no. Gli aventi diritto al voto coincidono con il corpo elettorale. Per il referendum confermativo non è previsto quorum della metà più uno dei votanti ed è quindi valido a prescindere dall'affluenza alle urne. Quello sulla riforma della giustizia sarà il quinto referendum di tipo costituzionale nella storia della Repubblica. Dal '46 a oggi, dalla prima consultazione popolare su monarchia o Repubblica, solo in altre quattro occasioni gli italiani sono stati chiamati a confermare o meno una modifica della nostra Costituzione votata dal Parlamento ma senza la maggioranza dei 2/3. Il primo referendum costituzionale è stato quello del 2001 sulla riforma del Titolo V del centrosinistra, vinse il sì con il 65,21%. Poi, nel giugno 2006, si votò sulla riforma costituzionale del governo Berlusconi e prevalse il no con il 61,29%. Nel 2016 il referendum bocciò, con il 59% di no, la riforma costituzionale di Matteo Renzi, che poi si dimise da Presidente del Consiglio. L'ultimo voto costituzionale, con vittoria del sì con il 69%, è del 2020 sul taglio del numero dei parlamentari voluto dal M5s. Al di là dei Comitati per il sì e per il no, in vista del referendum i partiti si sono schierati. Per la conferma della modifica costituzionale, per il sì quindi, è compatta la maggioranza di governo che ha votato la legge in Parlamento. Contro la riforma, e quindi per il no al referendum, si sono è già espressa la maggior parte delle opposizioni con Pd, M5s e Avs su tutti. Nell'area del Pd, però, alcuni esponenti (a partire da Goffredo Bettini e a Libertà Eguale di Stefano Ceccanti e Enrico Morando) si sono detti a favore della separazione delle carriere, introdotta dalla riforma. Diversa anche la posizione su Iv e Azione, che già in Parlamento si sono distinti dalle altre opposizioni astenendosi o (come Carlo Calenda) votando sì. La riforma della giustizia, se confermata dal referendum, introdurrebbe cambiamenti importanti nel funzionamento della magistratura italiana. Il punto centrale, infatti, è la separazione delle carriere: oggi un magistrato può passare dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero nei primi anni di carriera, ma con la riforma questo non sarebbe più possibile. Chi sceglie di fare il giudice resta giudice, chi sceglie di fare il Pm resta Pm. L’obiettivo dichiarato è quello di garantire maggiore imparzialità e una netta distinzione tra chi accusa e chi giudica. Per rendere questa separazione effettiva, il Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) verrà diviso in due organi distinti: uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri. Entrambi saranno presieduti dal Presidente della Repubblica e avranno competenze su assunzioni, trasferimenti e valutazioni professionali. Inoltre, per ridurre il peso delle correnti interne, i membri togati di questi organi saranno scelti a sorte, così come quelli dell’Alta Corte disciplinare, che sarà il nuovo organismo incaricato di gestire le sanzioni disciplinari ai magistrati. In sintesi, la riforma punta a rendere la giustizia più trasparente e meno influenzata da dinamiche interne, ma non mancano le critiche: secondo alcuni, queste modifiche potrebbero aumentare il rischio di interferenze politiche e creare squilibri tra i poteri dello Stato.

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