I Nine Inch Nails sanno ancora tramutare il caos in poesia

A Milano una performance muscolare per Trent Reznor e soci, che sfoderano diverse chicche e deep cuts in scaletta oltre ai classici come 'Closer' e 'Head Like a Hole'

Trent Reznor dei Nine Inch Nails sul palco a Milano (AdnKronos)
Trent Reznor dei Nine Inch Nails sul palco a Milano (AdnKronos)
25 giugno 2025 | 08.10
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Quando Trent Reznor sale sul palco e attacca le prime note di 'Somewhat Damaged', si intuisce subito che il concerto dei Nine Inch Nails a Milano non è uno show come tutti gli altri. Forse il nome stesso della band non dice nulla ai più, se non si è iniziati al culto. Ma difficilmente può capitare di vedere a distanza ravvicinata artisti fenomenali come Reznor e Atticus Ross, che assieme vantano due premi Oscar, tre Golden Globe e una collezione di Grammy da far impallidire chiunque. Reznor non è solo il cuore pulsante di uno dei gruppi più influenti della musica industrial ma un monumento vivente all’arte del suono disturbante, viscerale e assoluto. Un genio visionario, di quelli che nascono una volta ogni 50 anni, se si è fortunati, che da commesso di un negozio di strumenti è diventato un artista con la A maiuscola, capace di infrangere le regole e reinventarle.

David Bowie, David Fincher, David Lynch ci hanno visto lungo sul suo conto. Johnny Cash ha fatto una sua cover prima di morire. Il Duca Bianco, nei primi anni Novanta, tra tutti i musicisti emergenti nella scena rock trovò in lui una speciale affinità elettiva. Nata nel 1988 dalla mente tormentata di Reznor, la band ha ridefinito il significato di rock industriale, unendo suoni sintetici e chitarre abrasive, testi introspettivi e una carica emotiva devastante. Album come ‘The Downward Spiral’ e ‘The Fragile’ sono pietre miliari del genere e hanno influenzato generazioni di musicisti, tanto da far sentire ancora oggi il loro impatto. Sicuramente tra gli album più duri e cupi che abbiano mai scalato le classifiche mondiali. I Nine Inch Nails non sono una band che ripete sé stessa e ogni concerto è un’esperienza unica, capace di mescolare aggressività, malinconia e introspezione. Bellezza e caos.

Sono passati solo tre anni dall’ultimo tour, ma appare chiaro a tutti che Reznor, assieme a Ross, all’italiano Alessandro Cortini, Robin Finck, e Ilan Rubin, ha davvero voglia di suonare. I nostri salgono sul palco milanese del Parco della Musica subito dopo il set del dj e producer tedesco Boys Noize, per l’unica data italiana del loro 'Peel It Back Tour 2025'. I presenti sanno che non ci saranno mezze misure ma un vortice di suoni rock ed elettronici. Nessun sorriso accomodante né parole rassicuranti - Reznor, del resto, non ama fare prediche on stage - ma l’impatto di una band che da 37 anni non smette di evolversi. La scenografia è ridotta all’osso: niente visual, zero effetti speciali o particolari trovate sceniche, solo un impressionate gioco frenetico di luci e Trent Reznor che, a 60 anni appena compiuti, è ancora un animale da palcoscenico. Totalmente padrone della performance, passa con disinvoltura dalla chitarra ai sintetizzatori.

Ciò che caratterizza questo nuovo tour è la scelta, non scontata, di mettere in scaletta dei brani che non vengono suonati dal vivo da più di 15 anni o pezzi mai eseguiti live, come ‘The Perfect Drug’, realizzato per la colonna sonora di ‘Lost Highway di David Lynch o ‘Burn’ dal film ‘Natural Born Killers’. ‘Piggy’ (assente nel set dal 2009) torna con tutta la sua potenza straniante, sovvertendo le regole dell’equilibrio tra elettronica e rock. Quella di Reznor e soci è una performance muscolare, tra pezzi storici e incursioni più recenti. ‘Wish’ e ‘March of the Pigs’ alzano il livello della tensione. ‘Copy of A’ introduce una dimensione più ipnotica.

Sul palco milanese debuttano per la prima volta in questo tour chicche come ‘Echoplex’, ‘Discipline’ e ‘The Good Soldier’, in un cortocircuito sonoro che dimostra ancora una volta la versatilità artistica dei Nine Inch Nails. In ‘I’m afraid of Americans’, le uniche parole di Reznor sono rivolte “al mio amico David Bowie” con cui originariamente la canzone è stata realizzata. ‘Closer’, con il suo chorus sensuale e spaventoso, è il brano che ha fatto scoprire i NIN a milioni di persone e che ancora oggi è l’anthem della band. ‘Head Like a Hole’, il singolo che li ha lanciati, è ancora un inno come nel 1989. E’ con ‘Hurt’, nel finale, che si raggiunge l’apice emotivo. Un pezzo dolce e disperato, che intonato a luci spente, rappresenta perfettamente i titoli di coda di questa esperienza musicale.

A quasi 40 anni dagli esordi, i Nine Inch Nails continuano a dimostrare che il rumore può essere arte, che la furia può farsi poesia, e che Trent Reznor - l’ex Mister autodistruzione - è, con buona pace dei tempi e dei detrattori, l’ultimo vero genio della musica alternativa. E forse non esagera chi dice che i NIN sono, ancora oggi, la migliore band in circolazione. (di Federica Mochi)

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