Il capolavoro rivive a Venezia in chiave contemporanea: una riflessione attuale sul potere e sulla clemenza, tra antica Roma e mondo di oggi
Un dramma di potere, vendetta e perdono che attraversa i secoli arriva al Gran Teatro La Fenice di Venezia giovedì 20 novembre con il debutto della nuova stagione lirica 2025-26. In scena "La clemenza di Tito", l'ultima grande opera seria di Wolfgang Amadeus Mozart, riletta dal regista Paul Curran con uno sguardo contemporaneo. "Non volevo restare né ai tempi di Mozart né all'epoca romana", racconta Curran, "ma portare lo spettatore in un mondo che parli del nostro presente: di potere, vendetta e, soprattutto, di clemenza". La vicenda è ambientata nell'antica Roma: una congiura fallita nei confronti dell'imperatore Tito è l'occasione per dimostrare la sua grandezza e generosità. "Mozart stava commentando la sua società del XVIII secolo e il potere - ricorda Curran - Io ho voluto spostare l'ambientazione vicino a noi. Le scene sono classiche, ma contemporanee. E la domanda è sempre la stessa: come ci confrontiamo con l'abuso del potere?"
Il nuovo allestimento combina la regia innovativa di Curran con scene e costumi firmati da Gary McCann e il light design di Fabio Barettin, creando un equilibrio tra classicità e modernità. La musica di Mozart, guidata sul podio dal direttore Ivor Bolton, incontra un cast di grandi interpreti: Daniel Behle è Tito Vespasiano, Anastasia Bartoli Vitellia, con debutti assoluti per Cecilia Molinari (Sesto), Nicolò Balducci (Annio) e Francesca Aspromonte (Servilia), mentre Domenico Apollonio interpreta Publio. Maestro del Coro Alfonso Caiani.
Rappresentata per la prima volta a Praga il 6 settembre 1791, "La clemenza di Tito" segnò il ritorno di Mozart all'opera seria, dieci anni dopo "Idomeneo". Nata per celebrare l'incoronazione di Leopoldo II a re di Boemia su richiesta dell'impresario Domenico Guardasoni, l'opera si basa sul noto libretto di Pietro Metastasio, rielaborato dal poeta Caterino Mazzolà. Da allora, il successo internazionale fu immediato: trionfale a Vienna nel 1794 grazie anche al sostegno di Constanze Mozart, fu la prima opera di Mozart a debuttare a Londra nel 1806.
"Come nel mondo del Settecento, anche in quello di oggi la parola 'clemenza' dovrebbe avere molta più importanza - spiega Paul Curran -. Le persone che detengono enormi poteri dovrebbero capire che la clemenza, ovvero la capacità di perdonare gli altri, insieme alla gentilezza, dovrebbero avere molto più peso e centralità. Purtroppo invece viviamo in un mondo durissimo, e lo si vede soprattutto meglio nell'ultimo anno. Io abito negli Stati Uniti, dove ci troviamo in una situazione di estremismo politico, ma credo che sia così dovunque. Invece di picchiare, escludere, far morire la gente, si dovrebbe comprendere che tutti possono sbagliare e fare del male, ma che bisogna anche avere la capacità di perdonare e andare avanti. Quindi questa parola dovrebbe assolutamente ritornare viva e attuale nel vocabolario di oggi".
Secondo il regista, la storia dell'imperatore Tito non è mai stata così attuale: "Quella di Mozart è un'opera sul potere e sulla vendetta. Ogni giorno vediamo, in ogni Paese, come chi detiene il potere cerca vendetta contro nemici politici o interi popoli. Mozart aveva già capito tutto. Con ogni generazione, l’essere umano resta lo stesso".
Curran sottolinea come l'opera possa essere vissuta come un momento di gioia, ma anche di introspezione: "Vorrei che i più giovani, e il pubblico in generale, riflettessero su come si usa il potere: per migliorare la società o per sopraffare gli altri? 'La clemenza di Tito', già dal titolo, ci invita a questa scelta. È un'opera antica e modernissima insieme".
Anche il maestro Ivor Bolton sottolinea l'attualità dell'opera: "Per il pubblico di oggi 'La clemenza di Tito' è assolutamente accattivante. Ritrae alcune delle emozioni umane più basilari come la vendetta e l’amore, in molte diverse sfaccettature: c'è il desiderio ardente di Sesto per Vitellia, il desiderio altrettanto intenso di Vitellia per il potere, e la relazione che intrecciano Annio e Servilia. Tutte queste relazioni fanno da sfondo a un dramma molto umano ma anche molto politico. La ricerca del bene è probabilmente una delle cose che meno ci aspettiamo di trovare oggi quando guardiamo al nostro mondo politico, ma quest'opera può essere da esempio per confutare quel punto di vista. Penso che uno dei pregi di quest’opera sia anche quella di mostrare una grande leadership. Infine spero che la nostra produzione catturi ed emozioni gli spettatori della Fenice e che il pubblico possa apprezzare il modo in cui abbiamo scelto di ridare vita a questo famoso dramma mozartiano". (di Paolo Martini)