Anni di piombo, in un libro la storia di Carlo Falvella

Esce per Altaforte "E me ne vanto" di Tony Fabrizio dedicato al vicepresidente del Fuan di Salerno, che fu tra le prime vittime degli anni di piombo. "Da quella tragedia nacque lo slogan 'uccidere un fascista non è reato'"

I funerali di Carlo Falvella (Altaforte)
I funerali di Carlo Falvella (Altaforte)
28 settembre 2025 | 16.57
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Altaforte Edizioni pubblica "E me ne vanto. La storia di Carlo Falvella" (160 pagine; 17 euro), il nuovo libro di Tony Fabrizio dedicato alla figura di Carlo Falvella, vicepresidente del Fuan di Salerno, l'organizzazione universitaria del Msi, che fu tra le prime vittime degli anni di piombo. Falvella, ipovedente, aveva solo 22 anni, quando, il 7 luglio 1972, venne accoltellato a morte mentre tentava di difendere l'amico che era con lui durante un confronto con alcuni estremisti di sinistra. A sferrare la coltellata fatale fu Giovanni Marini, poi condannato a 9 anni per omicidio preterintenzionale.

"La vicenda di Falvella, ipovedente eppure sempre in prima linea, non viene narrata con il piglio sterile della cronaca giudiziaria, ma attraverso il significato di un gesto che ha la forza del mito - si legge in una nota della casa editrice - Quel 7 luglio 1972, davanti a un gruppo di antifascisti armati di odio, Carlo non si limita a resistere: sceglie volontariamente di frapporre il proprio corpo e la propria vita per salvare un amico. La sua morte diventa così dispensatrice di vita, testimonianza radicale di un credo che non arretra di fronte all’inevitabile. Fabrizio evita la retorica vittimistica e restituisce al lettore l’immagine di un giovane militante che, pur nella sua quotidiana normalità, compie un atto extra-ordinario. Un sacrificio che non appartiene soltanto alla cronaca nera degli anni Settanta, ma che affonda le radici nella tradizione millenaria dell’eroismo europeo: la scelta di morire non per caso, ma nel momento giusto, per trasformare un destino individuale in un’eredità immortale. La pubblicazione di 'E me ne vanto' è anche un atto di giustizia: ribadire che Carlo Falvella non fu una vittima collaterale di un omicidio preterintenzionale, come recitano le carte, ma la prova vivente che l’odio antifascista aveva già scelto di colpire un 'nemico politico'. Da quella tragedia nacque lo slogan 'uccidere un fascista non è reato', cifra di un clima di violenza che ancora oggi certa memoria selettiva cerca di edulcorare".

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