
“La sfida democratica dell’Africa. Il ruolo della cooperazione decentrata e delle imprese”
Giornata conclusiva della settima edizione del Festival Nazionale dell’Economia Civile (FNEC) con il panel “La sfida democratica dell’Africa. Il ruolo della cooperazione decentrata e delle imprese”, che ha visto a confronto Federico Bonaglia, vicedirettore del Development Centre OCSE, e Meheret Tewolde, Executive Chief di Italia Africa Business Week. Il Festival, dedicato quest’anno al tema “Democrazia partecipata. La sfida delle intelligenze relazionali”, mette al centro persone, comunità e alleanze tra pubblico, privato e società civile per un modello di sviluppo sostenibile, inclusivo e generativo.
Nel solco della cornice valoriale dell’economia civile, il panel ha esplorato come cooperazione decentrata e imprese possano rafforzare democrazia, partecipazione e benessere condiviso nei territori africani, valorizzando capitale umano, reti locali e intelligenze relazionali — leve identitarie del FNEC fin dalla sua nascita.
Federico Bonaglia (OCSE) ha richiamato le tre ragioni di fondo che rendono l’Africa strategica per l’Italia e l’Europa: demografia, urbanizzazione e integrazione economica. «La metà della popolazione africana ha meno di 20 anni, mentre in Europa l’età mediana è 47 anni: una generazione sempre più istruita, destinata nei prossimi vent’anni a raddoppiare il numero di studenti con formazione secondaria o terziaria fino a circa 240 milioni», ha spiegato. Ha aggiunto che il continente «vive il più rapido processo di urbanizzazione della storia: il modo in cui verranno progettate città e infrastrutture inciderà profondamente anche sul cambiamento climatico». Sul piano economico, «l’Africa sta unificando i mercati attraverso aree di libero scambio, creando grandi opportunità d’investimento che possono offrire sbocchi alle imprese italiane per inserirsi nel percorso di sviluppo africano. Opportunità che si aprono soprattutto per le imprese della cooperazione, anche nel settore del credito». Guardando ai dati di crescita, Bonaglia ha ricordato che «negli ultimi trent’anni il PIL è quadruplicato, ma il reddito pro capite è cresciuto di meno del doppio: una dinamica che ha creato pochi lavori di qualità». Da qui l’appello: «Molti governi non riescono a finanziare infrastrutture e servizi pubblici, aprendo spazio ad attori capaci di colmare questo vuoto. L’Italia può giocare un ruolo, grazie al tessuto di PMI affine a molte economie africane e a modelli di economia civile e finanza di prossimità. Ogni anno 29 milioni di giovani raggiungono l’età lavorativa, ma i nuovi impieghi sono circa 3 milioni: trasformare le economie e creare lavoro di qualità è nell’interesse degli africani e dei Paesi vicini».
Meheret Tewolde (IABW) ha inquadrato lo scenario geopolitico ed economico: «L’Europa resta il principale investitore e donatore in Africa, quindi conserva un ruolo fondamentale. Tuttavia oggi, accanto a Europa e Stati Uniti, operano Cina, Turchia, Paesi arabi, Brasile e altri attori: questa pluralità offre ai Paesi africani maggiore libertà di scelta e impone un cambio di approccio». Tewolde ha sottolineato che «Europa e Occidente sono spesso percepiti come più ingerenti sul piano politico, mentre la Cina adotta modalità considerate meno intrusive: l’ingerenza occidentale irrita soprattutto le nuove generazioni, che grazie a istruzione e tecnologie maturano autonomia di giudizio». La proposta di Tewolde: «Per superare la logica “dall’alto verso il basso” serve ascoltare i territori e costruire, in vera partnership, i passi necessari a un avanzamento reale». In questo contesto «Europa e Italia hanno molto da offrire e partono ancora avvantaggiate, a patto di essere più coerenti e pragmatiche. L’Italia dispone di un accesso privilegiato, anche per un approccio più attento alla persona rispetto ad altri player europei; pesa però la burocrazia, che rallenta le decisioni. Esiste uno spazio interessante, anche lasciato dai francesi, che apre opportunità per le PMI italiane e per la diffusione di un know-how di nicchia prezioso nei contesti africani».
Nel corso dell’incontro, Giovanna Faifer, vincitrice della Borsa di studio sull’Economia Civile per la pace, ha presentato il progetto di ricerca che studia come le comunità energetiche possano rappresentare un’alternativa dal basso per promuovere sistemi di distribuzione energetica indipendenti e sostenibili, anche alla luce degli effetti delle sanzioni occidentali. La ricerca valuta in particolare quali elementi delle comunità energetiche italiane siano compatibili con il contesto africano. Riccardo Troisi, ricercatore dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ha illustrato un’indagine avviata da due anni sulle comunità energetiche rinnovabili: mappate oltre 250 esperienze, con l’obiettivo di misurare i benefici sociali nei territori e di creare un osservatorio permanente sulle pratiche di impatto generate.