
Ci sono profili di incostituzionalità nella riforma Nordio che lo abroga? Sono stati violati obblighi sovranazionali? Il cittadino è tutelato da possibili soprusi dell'autorità pubblica?
Il reato di abuso d'ufficio, abrogato in Italia dalla riforma Nordio, legge 114 del 9 agosto 2024 che ha eliminato l'articolo 323 del Codice penale, approda mercoledì prossimo a Palazzo della Consulta, giudice relatore Francesco Viganò. A rinviare la legge alla Corte costituzionale, è stata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9442/2025, in cui gli ermellini (nell'ambito di un ricorso in cui la difesa chiedeva l'annullamento di una condanna ex articolo 323 del codice penale appena abrogato), hanno autonomamente rivalutato la sussistenza di profili di incostituzionalità nella riforma Nordio, promuovendo l'incidente costituzionale; oltre che rilevato nell'abrogazione dell'abuso d'ufficio profili di illegittimità per violazione di obblighi sovranazionali da parte dello Stato italiano, specificatamente della Convenzione dell'Onu contro la corruzione adottata a Merida nel 2003 e ratificata in Italia con la legge 116/2003.
Il delitto di abuso d'ufficio nel contesto del Codice penale ha avuto un percorso estremamente travagliato: un tira e molla di clausole di configurazione del reato risolte in un'abrogazione in toto dell'art. 323 del Codice penale lo scorso anno. Già individuato come "abuso di autorità" nell'articolo 175 del Codice Zanardelli, il primo codice penale unificato dell'Italia unita emanato nel 1889 ed entrato in vigore nel 1890, nelle sue successive versioni ha costituito la forma di tutela minimale del cittadino contro i soprusi e le prevaricazioni dell'autorità pubblica in tutte le fasi della storia dello Stato italiano.
Nel disegno del legislatore del 1930, il delitto di reato di abuso di ufficio, per effetto della clausola di sussidiarietà che lo connotava, assumeva un ruolo marginale all'interno del sistema dei delitti contro la pubblica amministrazione. La clausola, disciplinata dal Codice Rocco, stabiliva infatti che il reato si configurasse solo quando il fatto non fosse previsto come reato da altre disposizioni penali, quindi fungeva da norma di riserva, quando non era possibile contestare un delitto più grave o più specifico.
L'ambito applicativo dell'art. 323 del Codice penale è poi stato ampliato per effetto dell'intervento di riforma operato dalla legge 26 aprile 1990 che ha voluto dare al reato una maggiore operatività e una funzione di contrasto reale agli abusi dei pubblici ufficiali. L'abuso di ufficio con quella riforma, come ricostruisce la Corte di cassazione nella ordinanza 9442/2025, non è infatti più un reato di riserva, in quanto nella fattispecie sussidiaria confluiscono, almeno in parte, le fattispecie di peculato per distrazione (art. 314), di interesse privato in atti d'ufficio (art. 324) e di omissione di atti d'ufficio (art. 328). Viene quindi introdotto il concetto di violazione di legge o regolamento e la finalità di procurare un ingiusto vantaggio o arrecare un danno ingiusto.
Per correggere i problemi sorti dall'eccessiva ampiezza della disposizione e dalla sua poco stringente formulazione, il legislatore con la legge 16 luglio 1997 n. 234 ha poi modificato l'art. 323 del codice penale, con il dichiarato intento di escludere la rilevanza penale dei provvedimenti amministrativi viziati da eccesso di potere, ritenendo che un sindacato del giudice penale sugli stessi comportasse un'inaccettabile intromissione del potere giudiziario nell'ambito dell'attività discrezionale della pubblica amministrazione.
Quindi arrivano la riforma Cartabia del 2020 e il Dl semplificazioni il legislatore è intervenuto ancora sull'articolo 323 del Codice penale. In particolare, con la riforma 76/2020 (Decreto semplificazioni) convertito in legge 120/2020, l'articolo 323 è stato notevolmente ristretto. Questo intervento legislativo ha conferito alla fattispecie di reato una formulazione ancor più vincolante e restrittiva, sostituendo le parole "in violazione di norme di legge o di regolamento" con quelle "in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità", al fine di escludere ancor più radicalmente il sindacato del giudice penale sugli atti discrezionali della pubblica amministrazione.
Nonostante le critiche e contestazioni alla formulazione più restrittiva del reato, la Consulta nella sentenza 8/2022 ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, del d.I. n. 76 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, sollevate dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. Questa sentenza ha rilevato la legittimità costituzionale della riduzione dell'ambito di rilevanza penale delle condotte di abuso di ufficio, in quanto il legislatore ha inteso non irragionevolmente scongiurare la sempre maggiore diffusione del fenomeno della cosidetta "burocrazia difensiva" (o "amministrazione difensiva"), che comporta "significativi riflessi negativi in termini di perdita di efficienza e di rallentamento dell'azione amministrativa, specie nei procedimenti più delicati".
La Corte costituzionale, già nella sentenza n. 7 del 1965, aveva tra l'altro rilevato la tensione che sin da allora connotava la fattispecie di reato dell'abuso di ufficio, tra l'esigenza di incriminare "la trasgressione, da parte del pubblico ufficiale, di un dovere inerente all'ufficio, quando essa si concreti in un atto o, comunque, in un comportamento illegittimo, posto in essere con dolo", e, al contempo, la necessità di stabilire una "sufficiente garanzia che il pubblico ufficiale sia al coperto dalla possibilità di arbitrarie applicazioni della legge penale, il timore delle quali nuocerebbe anch'esso al buon andamento della pubblica Amministrazione e al sollecito perseguimento dei suoi fini".
Con il governo Meloni, il ministro della Giustizia Nordio 'ha inscritto' sull'articolo 323 del Codice penale la parola fine. L'abrogazione del reato di abuso d'ufficio è infatti avvenuta con la legge 9 agosto 2024, n. 114, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 10 agosto e in vigore dal 25 agosto. Questa legge ha abrogato l'articolo 323 del codice penale, che prevedeva la punizione per l'abuso di ufficio. Secondo la Cassazione, tuttavia l'abrogazione del reato di abuso di ufficio lungi dal bilanciare tra esigenze costituzionali dell'imparzialità e dell'efficacia amministrativa, anche mediante l'ulteriore riduzione dell'ambito dell'incriminazione, ha dato prevalenza incondizionata all'autonomia di amministratori e funzionari nell'esercizio della funzione pubbliche, sacrificando integralmente la tutela dei cittadini contro gli abusi posti in essere dai pubblici agenti intenzionalmente ai loro danni. Mercoledì la questione sarà quindi dibattuta in udienza pubblica davanti ai 15 giudici costituzionali a Palazzo della Consulta. (di Roberta Lanzara)