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Lgbt: i congedi parentali delle coppie genitoriali domani a Palazzo della Consulta

La Corte d'appello di Brescia: dubita della legittimità costituzionale dell'art. 27-bis, del decreto legislativo n. 151 del 26/03/2001 (T.U. sostegno di maternità e paternità); Ritiene che solo con l'illegittimità costituzionale della legge, l'Inps può rimuovere la discriminazione dal sistema informatico

Lgbt: i congedi parentali delle coppie genitoriali domani a Palazzo della Consulta
05 maggio 2025 | 14.28
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I congedi parentali delle coppie omo-genitoriali saranno dibattuti domani a Palazzo della Consulta. I giudici costituzionali, relatore Maria Rosaria Sangiorgio, dovranno esaminare la ordinanza di rimessione della Corte d'appello di Brescia (5 dicembre 2024) sulla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 27-bis, del decreto legislativo 151 del 26 marzo 2001, nell'ambito del procedimento civile promosso da Inps e Cgil contro Rete Lenford, associazione che si batte per i diritti Lgbt.

Il caso nasce da una istanza di Rete Lenford, rivoltasi in primo grado al Tribunale di Bergamo, per denunciare la condotta discriminatoria dell'Inps. Pur non avendo mai espressamente negato la sussistenza del diritto ai congedi e permessi alle coppie omo-genitoriali riconosciute nei registri dello stato civile, l'Istituto nazionale di previdenza sociale con il sistema informatico attuale per la presentazione delle domande avrebbe di fatto reso impossibile l'accesso a tali istituti ai genitori dello stesso sesso, riconosciuti come tali dai registri dello stato civile.

Per accedere ai congedi parentali (previsti dal decreto legislativo 151 del 2001), le lavoratrici e i lavoratori del settore privato hanno infatti l'onere di presentare domanda all'Inps, soggetto gravato dall'obbligo del pagamento, e di presentare le domande in via telematica sul portale web dell'Inps. Tuttavia il sistema informatico dell'Istituto di previdenza sociale non consente ai genitori dello stesso sesso di presentare domanda in quanto segnala un errore laddove vengono inseriti due codici fiscali dello stesso genere.

Con memoria di costituzione e risposta l'Inps aveva replicato che "il riconoscimento dello status di genitore al genitore intenzionale (o sociale) rappresenta un obiettivo perseguibile solo per via legislativa, poiché implica una scelta - costituzionalmente non imposta - che appartiene a quell'area di interventi con i quali il legislatore si fa interprete della volontà collettiva bilanciando i valori fondamentali in gioco e tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che reputa maggiormente radicate in quel momento storico nella coscienza sociale".

Ma il Tribunale di Bergamo con ordinanza depositata in data 15 gennaio 2024, accertata la legittimazione ad agire di Rete Lenford, aveva condannato l'Istituto di previdenza, reo di una discriminazione a danno dei genitori dello stesso sesso indicati come tali nei registri dello stato civile rispetto a genitori di sesso diverso. Ad ingenerare la discriminazione secondo il Tribunale è il fatto che sebbene sia gli uni che gli altri siano riconosciuti genitori dall'ordinamento, i genitori di sesso diverso possono sempre proporre la domanda in via informatica per accedere ai permessi e congedi ex decreto legislativo n. 151/2001 mentre i genitori dello stesso sesso non possono proporla. Ciò pone questi ultimi in una condizione di evidente e significativo svantaggio.

Dunque il giudice di Bergamo aveva ordinato all'Inps di modificare nel termine di due mesi il proprio sistema informatico di ricezione delle domande amministrative rendendo possibile alle coppie che risultino genitori dai registri di stato civile inserire i loro codici fiscali e ogni altro dato rilevante a prescindere dal sesso, dando adeguata comunicazione di tale modifica nel portale web con condanna dell'Inps anche al pagamento di una somma di euro 100,00 per ogni giorno di ritardo.

L'Inps però si è rivolta alla Corte di appello di Brescia chiedendo ed ottenendo l'immediata sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza. Si sono quindi costituite Rete Lenford e Cgil che, opponendosi alla sospensione dell'esecutività dell'ordinanza, in via di appello incidentale hanno insistito sulle conclusioni già formulate in primo grado dato che il dispositivo dell'ordinanza si era limitato a ordinare all'Inps la modifica del proprio sistema informatico senza affermare espressamente il diritto delle coppie dei genitori dello stesso sesso riconosciute nei registri dello stato civile di fruire dei congedi al pari delle coppie eterosessuali.

La Corte d'appello di Brescia ha rimesso la questione alla Consulta. A suo parere infatti "solo la questione di legittimità' costituzionale dell'art. 27-bis, decreto legislativo n. 151 del 2000, consentirebbe, ove ve ne siano i presupposti, di rimuovere la discriminazione accertata anche per il futuro e con effetti erga omnes in conformità a quanto auspicato dell'associazione ricorrente laddove ha domandato la condanna dell'Inps a modificare il proprio sistema informatico al fine di consentire in futuro a tutte le coppie omo-genitoriali risultanti dai registri dello stato civile di godere di congedi e permessi ex decreto legislativo n. 151/2000".

Nel rivolgersi alla Corte costituzionale il Giudice d'appello non ha tuttavia rinunciato a precisare: "La Corte dubita della legittimità costituzionale dell'art. 27-bis, decreto legislativo n. 151 del 26/03/2001 (T.U. sostegno di maternità e paternità), introdotto dall'art. 2, comma 1, lettera c) decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, secondo cui: 'Il padre lavoratore, dai due mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i cinque mesi successivi, si astiene dal lavoro per un periodo di dieci giorni lavorativi, non frazionabili ad ore, da utilizzare anche in via non continuativa'".

La Corte d'appello di Brescia afferma infatti di avere "fondato motivo di ritenere che tale disposizione contrasti con gli articoli 3 e 117 Cost. - quest'ultimo in relazione al divieto di discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale di cui agli articoli 1 e 2 della direttiva 2000/78 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, nonché in relazione all'art. 4 della direttiva 2019/1158/Ue, che prevede che gli Stati riconoscano il diritto di congedo di paternità obbligatorio al secondo genitore equivalente, ove riconosciuto nel diritto interno - nella parte in cui non prevede che il periodo di congedo obbligatorio di dieci giorni lavorativi spetti anche a una lavoratrice secondo genitore in una coppia di genitori composta da due donne, risultanti dai registri dello stato civile". L'ultima parola adesso ai giudici costituzionali. (di Roberta Lanzara)

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