Il tema torna sotto i riflettori dopo le dichiarazioni del ministro Crosetto
Si accende il dibattito sul servizio militare in Italia dopo le dichiarazioni del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ritiene necessaria una riflessione e punta a portare un disegno di legge in Parlamento. Sul tema, in un contesto internazionale caratterizzato in particolare dalla guerra tra Ucraina e Russia, l'Adnkronos ha interpellato i generali Giorgio Battisti, Leonardo Tricarico e Marco Bertolini.
"Gli ultimi conflitti, a Gaza e in Ucraina, hanno messo in luce l'esigenza di avere un numero elevato di soldati. Quindi condivido le parole del ministro Crosetto sul fatto che vada fatta una riflessione sul numero delle forze armate, sulla riserva che potremmo mettere in campo in caso di crisi", dice il generale Battisti, primo comandante del contingente italiano della missione Isaf in Afghanistan e membro del comitato atlantico, sull'ipotesi di un servizio militare nel nostro paese come in Francia e Germania.
"Oggi i campi di battaglia, anche per l'introduzione di nuove tecnologie, diventano sempre più difficili, sempre più letali. Da qui nasce - sottolinea Battisti - l'esigenza di avere un bacino di riservisti operativi, come fa per esempio Israele. Si tratta di militari, che di tanto in tanto vengono richiamati per essere riaddestrati".
Battisti poi aggiunge che in Italia per poter contenere le spese militari "si sono fatti tagli per cui oggi siamo arrivati ad avere, tra le tre forze armate, Carabinieri esclusi, orientativamente 165mila uomini e donne. Ma se l'Italia fosse ipoteticamente impegnata in futuri conflitti, non basterebbero: c'è bisogno di un maggior numero di soldati. Avere quindi un consistente bacino di riservisti ai quali ricorrere è una garanzia. Anche Cina e Taiwan adesso stanno pensando ad avere questo bacino". Secondo Battisti, infine, "per avere un soldato capace di combattere serve almeno un anno e mezzo di formazione".
"Potrebbero non esserci problemi insormontabili a rimettere in funzione un sistema di arruolamento a tempo determinato su base volontaria e tuttavia una serie di incognite andrebbero messe preliminarmente a fuoco ad evitare partenze false e risultati conseguenti", dice il generale Tricarico, ex Capo di stato maggiore dell'Aeronautica militare ed attuale presidente della Fondazione Icsa.
"Innanzitutto la vocazione, andata sempre più affievolendosi negli anni e testimoniata dalla domanda sempre più debole per il mestiere delle armi. Il gettito di aspiranti per un impiego duraturo quale quello offerto dai concorsi per servizio militare permanente potrebbe essere drasticamente più contenuto per un impiego limitato oltre a garantire una qualità umana certamente più scadente. Importante anche far bene i conti con il profilo di impiego offerto ai giovani, - prosegue Tricarico - perché la prospettiva di impieghi demotivanti quali quelli a basso tasso di professionalità non sono certo un incentivo per un giovane con un minimo di dignità da difendere. Né d’altro canto in tempi contenuti è possibile conferire loro una formazione da soldato di professione. A meno da non voler emulare Putin e fare numero comunque sia".
"Banale dire che gli Stati Maggiori dovrebbero valutare con grande attenzione soprattutto gli aspetti vocazionali, magari dopo aver inserito sonde ben tarate nel mondo giovanile al fine di valutarne meglio le aspettative e le motivazioni. Un esame che andrebbe anche esteso ai cittadini extracomunitari con le cautele del caso e con meccanismi premiali a mo' di incentivo. Scontati i problemi associati cui pure andrà messa mano, come la disponibilità delle infrastrutture ormai in larga parte dismesse e la riedificazione di una struttura di reclutamento e formazione dedicata, anche quella andata perduta con la sospensione del servizio di leva obbligatoria", conclude Tricarico.
Per il generale Bertolini, ex comandante del Covi, commentando le dichiarazioni del ministro delle Difesa, "il concetto di leva volontaria, del quale si sta discutendo anche in altri Paesi europei, si discosta dalla tradizione della leva per come l'abbiamo sempre considerata".
"Infatti -spiega- il termine leva lo riconduciamo normalmente alla coscrizione obbligatoria maschile, ripeto obbligatoria, che venne sospesa in Italia all’inizio del secolo. Venne sospesa per decisione bi-tri e quadri-partisan da tutti i partiti italiani, con motivazioni e 'interessi' diversi ma nella convinzione unanime, ingenua o ipocrita, che si fosse inaugurata un’era di pace e di prosperità eterna nella quale non sussisteva più la necessità di uno strumento militare che affermasse e difendesse la sovranità nazionale".
"Ora, col clima di bellicismo generalizzato abbracciato con convinzione anche da quelli che per decenni sono stati gli antimilitaristi più convinti - sottolinea Bertolini - con la palese insofferenza con la quale l’Amministrazione Usa considera le ostinazioni dell’Ue e della Nato stessa, nonché con le narrative di minacce russe sulle quali mi permetto di coltivare più di un dubbio, è tornata la paura. E, come dice il proverbio, di Dio e del vecchio Soldato i popoli si ricordano solo nel momento del bisogno".
"Si afferma ancora, insomma, l’idea di tornare alla vecchia leva, magari intendendola come regime di reclutamento volontario e a tempo determinato, ma con l’adozione di incentivi per l’arruolamento che portino all’aumento degli effettivi ed alla costituzione di una Riserva alla quale attingere in caso di necessità e della quale effettivamente c’è un grande bisogno. Un'operazione ottima se finalizzata a tutelare la nostra indipendenza e sovranità, che non ritengo possa esaurirsi nel reclutare soldati da mettere a disposizione di una sovranità europea difficile da concepire viste le differenze tra i vari popoli del nostro continente. Differenze da considerare il nostro vero valore aggiunto e non un peso del quale sbarazzarci", conclude Bertolini.