
Il ricercatore narra la costruzione dell’identità della seconda generazione degli italiani di Libia, il 20 giugno prima presentazione a Roma
"Accento tripolino. Sguardi e immaginari post-coloniali dalla Libia all'Italia". E' un racconto sulla costruzione dell’identità della seconda generazione degli italiani di Libia quello che Alessandro Caramis - nato a Roma nel 1977, sociologo e ricercatore all’Istat, figlio di italiani profughi dalla Libia - affida alle pagine del suo libro per Edizioni Botteghe Invisibili. La prima presentazione del libro è in programma il 20 giugno, a Roma, presso la libreria 'Altroquando', in via del Governo Vecchio, alle 19. A dialogare con l'autore sarà Angelo Angelastro, giornalista e scrittore, autore, tra l’altro, di 'Il bel tempo di Tripoli' (edizioni E/O, 2015).
"Sono un nipote delle colonie. Delle ex colonie del vecchio Regno d’Italia, in Africa - racconta Caramis - pur essendo nato a Roma nel 1977. I miei genitori e nonni sono nati e vissuti in Libia. Furono rimpatriati in Italia nel 1970, dopo il colpo di Stato di Gheddafi. Per anni mi sono interrogato su come l’origine tripolina della mia famiglia e la sua esperienza del ritorno in Italia abbiano influenzato e condizionato l’immaginario simbolico nel quale sono nato e cresciuto, l’orizzonte valoriale che mi è stato trasmesso, la cornice normativa che ha fatto da bussola al mio pensare e agire nell’Italia di questo presente".
"In particolare il significato attribuito ad alcune parole ha probabilmente segnato il mio modo di stare qui e ora: Italia, Politica, Socialismo, Profughi, Fascismo, Sessantotto, per citarne alcune. Parole - sottolinea - sedimentate nell’opinione comune, in Italia, attraverso il vissuto di concittadini estranei all’esperienza coloniale o post-coloniale, e che nel mio universo lessicale e culturale hanno sempre dovuto convivere con un’eredità difficilmente estirpabile, derivata da quella esperienza, spesso entrando in conflitto proprio con la cornice di significati che avevo costruito e assimilato nel corso del tempo". "In questa mia riflessione dunque provo a dare una risposta a una domanda che mi riguarda personalmente, ma anche a rintracciare – indagando su come e perché certe parole hanno assunto quel particolare significato nei racconti orali dei tripolini - la storia di un immaginario fatto proprio dalla comunità degli italiani di Libia".
Nel libro, infatti, proprio partendo dalle parole e ricostruendo grazie ad esse l’immaginario di una comunità che è stata prima comunità di coloni in terra d’Africa e poi di profughi in madrepatria, l’autore guarda al modo in cui si struttura l’identità e il senso di appartenenza. E rileva una "dissonanza di significati" nella quale ritiene che vada specificamente ricercata l’origine dell’immaginario degli italiani di Tripoli, diverso per molti aspetti da quello dei concittadini estranei all’esperienza coloniale o post-coloniale. E se - continua l'autore - "nella prima generazione di tripolini, rientrati in Italia dopo il colpo di Stato di Gheddafi e la fine della Monarchia senussita, questa 'dissonanza di significati' si è tradotta in 'distanza antropologica' dal resto degli altri connazionali, mantenuta anche con un certo orgoglio, per la seconda generazione - quella dei figli, nati e vissuti in Italia, che hanno ereditato tali significati dalla propria famiglia - si è tramutata in un continuo confrontarsi e intrecciarsi con altri significati, altre linee del tempo, altre narrazioni e immaginari", entrandovi in conflitto o rimettendo in discussione la cornice di significati costruita e assimilata dall’universo lessicale e culturale della propria famiglia.
Ed è così, scrive Alessandro D’Amato, autore della prefazione al volume, che un intero "universo mitizzato di valori e narrazioni di senso viene rappresentato attraverso l’assunzione di una postura diversa, un approccio critico, votato alla ricerca di un bilanciamento" tra le spinte esercitate dai propri pattern culturali e l’esperienza diretta che si fa del mondo in cui si vive, alla ricerca di una sintesi che consenta di costruire la propria identità.
Ma 'Accento tripolino' è anche un libro che, alla luce delle vicende del periodo coloniale – "una esperienza controversa" scrive ancora D’Amato "su cui tanto è stato scritto negli anni ma spesso senza il necessario distacco, a causa del fatto che il fenomeno era stato osservato e descritto da quegli stessi italiani che ne erano divenuti i principali attori protagonisti" - guarda a oltre un secolo di storia italiana. Lo fa ricorrendo a "multiformi generi di ricerca e di scrittura, a differenti fonti e approcci tra loro complementari - il resoconto storiografico, l’oral history, l’autobiografia. Così, storie di varia umanità si intrecciano con un pezzo di storia contemporanea del nostro Paese mentre l’identità dei tripolini, viene risemantizzata lungo un continuum temporale in cui vi è un momento di netta cesura: il colpo di Stato, che segna il prima e il dopo dei tripolini italiani e alla luce del quale le rispettive vite vanno rilette".