
Il presidente all'Adnkronos: "Per la chimica l’export supera i 40 miliardi di euro e gli Usa sono il quarto mercato di destinazione con quasi 3 miliardi. Sarà fondamentale promuovere, attraverso nuovi accordi commerciali, l’export in mercati alternativi"
"I dazi Usa al 15% generano certamente apprensione tra gli imprenditori della chimica in Italia soprattutto perché si inseriscono in un quadro già complesso e aggravato dalla svalutazione del dollaro. È stato prioritario aver evitato un’escalation delle tensioni nella consapevolezza che dazi Usa e contro-dazi Ue sarebbero stati insostenibili non solo per chi li subisce, ma anche per chi li impone. Non solo per l’industria, ma anche per i cittadini. Questo vale, in particolar modo, per un settore come la chimica alla luce della sua pervasività". Così il presidente di Federchimica, Francesco Buzzella, commenta in un'intervista all''Adnkronos l'accordo sui dazi tra Usa e Ue.
"Per la chimica l’export supera i 40 miliardi di euro e gli Usa sono il quarto mercato di destinazione con quasi 3 miliardi. Con dazi al 15%, diversi prodotti chimici faranno fatica ad accedere in modo competitivo al mercato americano", sottolinea Buzzella. "L’impatto non riguarda solo il prodotto chimico, ma tutta la manifattura europea", dice. "Senza l’esportazione di manufatti europei anche la chimica che contribuisce alla loro produzione verrà penalizzata. Oltretutto è concreto il rischio che Paesi come la Cina non riescano più a esportare negli Stati Uniti e dirottino tutto verso l’Europa", afferma ancora.
"In questo modo saremmo doppiamente danneggiati: un riorientamento dei prodotti cinesi verso il mercato europeo aggraverebbe la già forte pressione competitiva", aggiunge per poi chiosare: "Tra il 2021 e il 2024 la quota cinese sull'import italiano di chimica è già passata dal 6 al 16% e, nei primi quattro mesi del 2025, tali importazioni sono aumentate di un ulteriore 24%", dice Buzzella.
In generale dal 2021, prosegue, "la produzione chimica cinese è aumentata del 26% a fronte di una domanda mondiale in espansione del 9%. Nello stesso periodo, gli Usa hanno limitato la crescita al 3% e l’UE ha perso il 12% (-11% in Italia)". Un trend confermato già nei primi quattro mesi del 2025: "nonostante un anticipo cautelativo degli acquisti per anticipare i dazi la produzione chimica ha segnato un calo pari allo 0,4% su base annua in significativo deterioramento nei mesi più recenti", afferma.
Tutto ciò avviene dopo un 2024 deludente nel quale alla significativa contrazione del 2022-2023 ha fatto seguito una seppur lieve flessione. "La crisi energetica, pur avendo superato la sua fase più acuta, continua a condizionare il settore, comportando un deterioramento del saldo commerciale che, nei primi mesi del 2025, è tornato ad aggravarsi. Questa debolezza non caratterizza solo l’Italia ma coinvolge tutta la chimica europea, con un andamento in Germania – primo produttore europeo – persino più penalizzante (-19%)", sottolinea. "In un contesto di estrema incertezza – che, anche escludendo gli scenari più estremi, tende ad alimentare cautela negli acquisti, oltre a fenomeni di stop-and-go che complicano la programmazione delle attività – le previsioni per il 2025 permangono in territorio negativo (-1,5%)", prosegue.
"Sarà fondamentale promuovere, attraverso nuovi accordi commerciali, l’export in mercati alternativi", dice. "In ogni caso, la via maestra passa necessariamente per una politica – italiana ma innanzitutto europea – a favore della competitività industriale e di una domanda locale più sostenuta", afferma. "Altrimenti rimarremo vulnerabili ad ogni evento esterno al di fuori del nostro controllo. Senza un’industria solida, l’Europa rischia di essere definitivamente marginalizzata, compromettendo così il suo benessere e i suoi stessi valori", dice. "L’impianto normativo ha costi enormi: i costi di regolamentazione oggi toccano il 13% del fatturato, nel 2004 si parlava del 4%", sottolinea. (di Andrea Persili)