Lo stop da domani in tutti gli stabilimenti. De Palma (Fiom): "La decisione dopo la conferma del piano di chiusura da parte del governo". L'esecutivo: "Disponibili a tenere aperto confronto su trattative vendita"
Salta il tavolo della trattativa sull'ex Ilva a Palazzo Chigi con i sindacati che annunciano lo "scontro totale" e uno sciopero di 24 ore a partire da domani, mercoledì 19 novembre, dopo la conferma da parte del governo del piano di chiusura della fabbrica.
Nel corso dell'incontro a Palazzo Chigi fra Governo e organizzazioni sindacali sull'ex Ilva, l'Esecutivo ha chiarito che "non ci sarà un'estensione ulteriore della Cassa integrazione, accogliendo così la principale richiesta avanzata dagli stessi sindacati nel corso del precedente tavolo", riferisce Palazzo Chigi in una nota. In alternativa, viene spiegato, "saranno individuati adeguati percorsi di formazione in favore dei lavoratori, anche per coloro già in Cassa integrazione. La formazione servirà a far acquisire ai lavoratori le competenze necessarie alla lavorazione dell'acciaio prodotto con le nuove tecnologie green".
Il Governo ha confermato, inoltre, "piena volontà di concentrare le risorse sulla manutenzione degli impianti per mettere in sicurezza i lavoratori e in prospettiva aumentare la capacità produttiva".
"Il governo - afferma il segretario generale della Fiom Michele De Palma - ha confermato il piano di chiusura, per noi, dell’ex Ilva. Abbiamo chiesto al governo di sospendere la decisione e abbiamo chiesto che intervenisse la presidente del Consiglio, la risposta che ci è stata data è stata la conferma del piano. Per questo noi, tutte le organizzazioni sindacali, abbiamo deciso di dichiarare lo sciopero, a partire dalla giornata di domani, articolato in tutti gli stabilimenti".
"È rottura - conferma il segretario generale della Uilm Rocco Palombella -. Abbiamo dichiarato 24 ore di sciopero a partire da subito, da domani, con assemblee in tutti i luoghi di lavoro perché i nostri dubbi, dall’incontro precedente, sono diventati certezze. Dopo il 1 marzo, non ci saranno 6000 lavoratori in cassa integrazione, ma la totalità. Abbiamo provato a chiedere di sospendere la decisione" ma dopo un’ora di sospensione, "il governo ci ha detto che utilizzeranno i 1500 lavoratori, che partiranno subito in cassa integrazione, per 'fare formazione', è solo un modo per dirci di no. Il re è nudo", continua. "Il governo si assume una grande responsabilità: mettere sul lastrico più di 10.000 lavoratori dopo anni di sofferenza. Hanno scaricato interi territori, sono fuggiti dalle proprie responsabilità. Noi abbiamo deciso di non demordere e dichiarare tutte le iniziative necessarie affinché venga modificata questa sciagurata idea che porta ovviamente alla chiusura dell’Ilva, di importanti siti siderurgici e con cui si abbandona qualsiasi forma di risanamento ambientale. Noi ci abbiamo creduto, ma da parte del governo e delle istituzioni è mancato il senso di responsabilità. Adesso devono dire loro dove questi lavoratori devono andare, chi si devono rivolgere", conclude.
Anche Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim, esprime sfiducia: "Abbiamo chiesto al governo di ritirare un piano che ferma tutte le aree a freddo, che ci sembra la prospettiva di chiudere lo stabilimento per metterlo nelle disponibilità di potenziali acquirenti, che ad oggi non ci sono" mentre "il piano industriale che abbiamo discusso a luglio e condiviso con i commissari e con il governo di fatto nel nuovo bando non c’è più, c’è un ridimensionamento totale e questo per noi significa aprire uno scontro, al posto dell’elemento di alleanza che ci aveva visto giocare una partita importante con il governo. Oggi queste condizioni non ci sono e quindi andiamo allo scontro. Non c’è nulla - ribadisce Uliano - non c’è neanche un disegno diverso" e rispetto ai potenziali acquirenti "oggi non ce ne sono. Abbiamo ribadito la richiesta al governo di farsi impresa, se questo è un asset strategico".