Claudio Baretti, partner di AlixPartners, società di consulenza globale, analizza il mercato legato al settore delle telecomunicazioni nell’ultimo decennio in Italia
Per una domanda letteralmente esplosa, ci sono ricavi clamorosamente crollati. Un paradosso. Non si può definire in altri modi, secondo Claudio Baretti, partner di AlixPartners, società di consulenza globale, il mercato legato al settore delle telecomunicazioni nell’ultimo decennio in Italia: “Un paradosso se si pensa anche al fatto che l’inflazione, tra il 2015 e il 2025, è aumentata più del 20%”. Questo è il motivo per cui le Tlc sono al centro di un profondo riassetto. Consolidamento. Nuove regole europee. Necessità di ridurre il peso del debito e di aprirsi a nuove frontiere tecnologiche.
“Il traffico dei dati oggi è 25 volte più grande di quello di dieci anni fa -spiega Baretti- siamo passati da 3 a 75 petabyte annuali (1 Pb equivale a 1.000 terabyte NdR)”. Il paradosso è servito nei valori dei ricavi: “Si sono ridotti di 10 miliardi di euro, dai 32 miliardi del 2014 ai 22 miliardi del 2024”. I dati sono quelli ufficiali di Agcom-Asstel. Le cause? Risponde Baretti: “Le guerre di prezzo che hanno contrassegnato il mercato italiano in questi ultimi anni”.
Non solo. La contrazione dei ricavi non è stata accompagnata da una riduzione proporzionale dei costi, scesi di circa 5 miliardi nello stesso periodo, valore che ha compresso inevitabilmente i margini. Continua il consulente: “L’annus horribilis del settore è stato il 2022, periodo contrassegnato da una generazione di cassa (Ebitda – Capex) negativa a livello di sistema”. Gli anni successivi? “La situazione è leggermente migliorata nel 2023 e nel 2024, con il ritorno al break even e qualche segnale positivo, seppur timido”. In buona sostanza l’emorragia oggi sembra essersi fermata, con i ricavi assestati attorno ai 22 miliardi indicati da Baretti.
A guidare questa stabilizzazione, che poi dovrà necessariamente trasformarsi in nuova espansione, conseguenza dell’uscita dal cosiddetto ‘paradosso’ innescato da dieci anni di cali, “è innanzitutto il raffreddamento della guerra dei prezzi nel segmento consumer, e poi anche la crescita del comparto business -prosegue Baretti - dove gli operatori offrono sempre più servizi digitali integrati: cloud, cybersecurity, connettività”.
Si passa così all’analisi dei player. In questo quadro l’attenzione è concentrata sul ruolo di Poste Italiane a fianco di Telecom Italia, divenuto primo azionista dell’ex monopolista dopo l’uscita di Vivendi e l’acquisizione della rete da parte di Kkr, con una partecipazione del 24,8% nel capitale. Secondo Baretti le sinergie industriali e commerciali sono evidenti: da un lato la possibilità per Tim di contare sulla capillare rete di oltre 11.000 uffici postali, dall’altro il consolidamento dei volumi legati a PosteMobile, che con i suoi circa 5 milioni di clienti già oggi utilizza la rete mobile Telecom: “Si tratta di un’integrazione che il mercato ha colto subito, come dimostra anche l’andamento in Borsa del titolo”. Dall’inizio del 2025 le azioni Tim a Piazza Affari sono cresciute del 70%.
Il maggiore azionista di Poste è il governo attraverso Cassa Depositi e prestiti. In questo senso il tema della “regia” pubblica accompagna inevitabilmente queste operazioni, così come per tanti analisti lo sta facendo sul risiko bancario. “Il governo – rileva il consulente di AlixPartners – è molto presente sull’aspetto infrastrutturale, per esempio le reti wholesale, tipo Open Fiber o FiberCop, cioè operatori che costruiscono e gestiscono le reti mettendole a disposizione di altri operatori, che poi vendono il servizio e gestiscono il cliente finale. Sul fronte consumer e in generale, l’attenzione rimane certamente alta sul fronte occupazionale: ogni operazione è valutata anche in funzione della tenuta dei posti di lavoro”.
Guardando oltre, la necessità di consolidamento resta sul tavolo. In Europa ci sono ancora troppi operatori rispetto ad altri mercati comparabili: negli Stati Uniti tre operatori nazionali coprono circa 350 milioni di abitanti, mentre nell’Ue gli operatori attivi sono decine. “Sul segmento consumer – sottolinea Baretti – il consolidamento è una necessità industriale, perché si tratta di un business a forte pressione sui prezzi, dove contano soprattutto le economie di scala”. L’ipotesi di un’aggregazione tra Iliad e Tim in questo senso rimane però ancora condizionata da possibili vincoli antitrust: insieme raggiungerebbero oltre il 40% del mercato mobile italiano.
La domanda che si pone ora è se il consolidamento sia anche una risposta alla corsa tecnologica, con investimenti sempre più pesanti sul 5G e, in prospettiva, sull’Intelligenza Artificiale. “La logica è chiara – spiega Baretti –: meglio condividere gli investimenti, anziché duplicarli. Questo apre la strada anche a forme di active sharing, ovvero la condivisione degli apparati attivi di rete, non solo delle infrastrutture passive”. In questo contesto i fondi infrastrutturali e finanziari, soprattutto stranieri, mostrano grande interesse: sia sulle reti, come dimostrano le operazioni su Open Fiber, FiberCop o Sparkle, sia sul fronte business-to-business, che offre prospettive di crescita grazie alla digitalizzazione delle imprese. Sul versante consumer, invece, le prospettive appaiono più incerte. “Prezzi tra i più bassi d’Europa, in Italia 10 centesimi di dollaro per un gigabyte, in Francia sono il doppio, in Spagna sei volte tanto mentre in Germania sono 2,5 dollari e negli Usa sono 5,5 dollari, hanno impoverito il settore. Il prossimo passo deve essere una maggiore disciplina sul prezzo, lo stop alle guerre tariffarie e una strategia orientata al valore più che al numero di Sim attive”. In parallelo sarà cruciale il decommissioning delle vecchie tecnologie, a partire dal 3G, per ridurre i costi di manutenzione di reti ormai obsolete. “Il futuro del settore – conclude Baretti – dipenderà dalla capacità di uscire dalla logica della mera competizione di prezzo e di costruire valore, sia attraverso servizi innovativi per i clienti, sia attraverso una gestione più efficiente delle infrastrutture”.