L'Europa è pronta davanti alla sfida dei droni russi?

"Mosca ha testato la Nato e ha fatto una mappa delle nostre difese. Che non sono sostenibili", spiega all'Adnkronos Federico Borsari (Cepa), che analizza anche la situazione italiana

L'Europa è pronta davanti alla sfida dei droni russi?
12 settembre 2025 | 17.41
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Nelle scorse ore circa 19 droni russi hanno violato lo spazio aereo polacco. La risposta è stata adeguata? Che strumenti hanno la Nato e l’Italia per difendersi? L’Adnkronos lo ha chiesto a Federico Borsari, non-resident fellow del Center for European Policy Analysis (Cepa), analista di questioni militari con focus su aerospazio e sistemi senza pilota.

Per Borsari, non c’è spazio per ambiguità: non parliamo di un “incidente”, ma di una tattica deliberata di Mosca per saggiare la prontezza della Nato, mappare difese e reazioni, e consumare - anche economicamente - le contromisure occidentali. Ne parliamo partendo dai fatti e arrivando alle conseguenze operative.

Come sappiamo che non è stato un incidente?

La rotta di gran parte dei velivoli, passati attraverso lo spazio aereo della Bielorussia con traiettorie pulite e stabili, è poco compatibile con jamming o spoofing del Gnss, il sistema di navigazione satellitare. Questo suggerisce una pre-programmazione per entrare in Polonia. Alcuni droni possono aver lambito l’Ucraina e risentito della sua guerra elettronica, ma il quadro resta quello di una violazione intenzionale per testare tempi e modi della reazione alleata.

Che piattaforme erano e con quale scopo?

Gerbera, prodotti con componenti cinesi (a proposito del coinvolgimento di Pechino nella guerra) e imitazioni degli Shahed (droni kamikaze iraniani): mezzi leggeri e a basso costo, spesso senza carica esplosiva, usati come "decoy", esche per saturare le difese o per far "accendere" radar e batterie contraeree e mappare procedure e infrastrutture. Con un peso tipico attorno ai 18 kg rientrano nella classe I della Nato: minacce che idealmente si ingaggiano con soluzioni C-uas (sistemi di contrasto ai velivoli senza pilota) economiche, non con mezzi sofisticati.

La risposta è avvenuta con mezzi diversi da Paesi diversi. Come hanno parlato tra loro?

L’interoperabilità Nato funziona. In questo caso gli F-16 polacchi, gli F-35 alleati, l’Awacs in volo sotto guida Nato, le aerocisterne Mrtt in supporto, hanno lavorato senza problemi. Ci sono standard e procedure comuni: l’operazione è stata ben condotta e la reazione più rapida di quanto avrei previsto.

Quanti droni sono stati neutralizzati?

Le fonti oscillano tra 10 e 12 abbattimenti. Il numero esatto non è chiarissimo, ma è certo che difendersi è stato costoso.

Quanto pesa il problema economico?

Molto. Sono stati usati missili come gli AIM-120 e gli AIM-9X. Se consideriamo che un missile AIM-120 costa circa 1,5 milioni di dollari e un AIM-9X circa 500mila dollari, mentre un drone Gerbera si aggira tra i 10 e i 20 mila dollari, è evidente che la 'curva costo-intercettazione' di questa operazione è stata estremamente sfavorevole per la Nato. A questo bisogna aggiungere i costi di decollo e impiego di caccia come gli F-35 e gli F-16, parliamo di centinaia di migliaia di euro all’ora. Sebbene non si possa esitare quando è in gioco la sicurezza, è chiaro che questo modello non è sostenibile e non può essere un progetto per situazioni future.

Ha senso calcolare la traiettoria, aspettare che finiscano la loro autonomia e lasciare cadere i droni, per risparmiare risorse?

Solo se hai la certezza che finiranno in aree disabitate. Oggi alcuni Gerbera montano modem Lte (gli stessi dei nostri smartphone) e possono essere guidati da remoto usando le reti cellulari: la traiettoria non è più rigidamente lineare e non si può calcolare in anticipo. Nessuno si prende il rischio che precipitino su aree popolate. La priorità resta evitare danni e vittime.

Molti di questi droni viaggiano senza carica esplosiva. Dai radar si capisce se un drone è armato?

No, però man mano che si intercettano si costruisce una "libreria": colleghi la firma radar all’oggetto recuperato e aggiorni il database. Così, quando riappare la stessa firma, puoi capire che tipo di velivolo hai di fronte. Alcuni sistemi anti-drone hanno telecamere potenti per conferme visive, ma qui si parla di manciate di secondi e tempi di reazione stretti: se si può, sempre meglio abbattere il drone. Anche disarmato, è in grado di inviare informazioni sensibili a chi lo ha fatto volare.

Si può accecare il modem Lte o addirittura dirottare il drone?

In teoria sì, ma serve coordinamento multilivello, che includa anche chi gestisce le torri di trasmissione telefonica. I tempi sono strettissimi. Esistono poi tecniche cyber per prendere il controllo dei droni e farli atterrare, ma sono efficaci soprattutto sui velivoli commerciali con protocolli noti.

Sul piano strategico: la Russia stava testando le nostre difese.

Sì. Mosca opera sotto soglia, in una zona grigia in cui non sferra un attacco chiaro, ufficialmente nega il suo coinvolgimento e intanto sonda la reazione politica e operativa dell’Alleanza. Minimizzare è pericoloso: comunica debolezza a Putin e anche al resto del mondo.

Lo stato dell’arte dei sistemi anti-drone in Europa?

Siamo indietro. Si è investito molto sulla difesa missilistica, e va detto che la Russia produce comunque più missili di quanti intercettori Ue e Usa costruiscano ogni anno. Contro i droni gli acquisti ci sono, ma su scala limitata rispetto all’Ucraina. Oggi è l’unico Paese che regge davvero questa minaccia, grazie a una difesa stratificata: gruppi mobili con armi leggere diffusi su tutto il territorio; poi guerra elettronica e jammer per interrompere la navigazione satellitare (Gnss) e link; poi razzi e missili a basso costo e, solo in ultima istanza, sistemi di alto livello.

I caccia hanno senso nella lotta anti-drone? Oltre a F-16 e F-35 ora arrivano anche i Rafale dalla Francia.

Devono essere l’ultima risorsa. Costi altissimi e rischi operativi: in missioni anti-drone in Ucraina si sono visti danni da esplosioni o collisioni. Israele ha usato i caccia contro i missili lanciati dall’Iran, ma i droni sono un’altra classe di minaccia: servono risorse specializzate e a basso costo d’uso.

E l’Italia? Quanto siamo pronti e cosa dovremmo fare?

Non è più questione di scelta: l’Italia deve dotarsi di protezioni contro i droni. La minaccia può arrivare da sud, pensiamo alla Libia, dai Balcani o dall’interno con azioni di sabotaggio a basso costo. Come hanno fatto gli Ucraini, mandando in fumo la flotta aerea nemica grazie a droni portati sul suolo russo con dei camion. E anche se non ci fosse uno sciame di droni diretto verso il nostro territorio domattina, le nostre forze devono poter operare in missioni Nato, in cui la minaccia è già attuale: servono equipaggiamenti, addestramento e tattiche adeguate per contesti ad alta intensità. In Italia possiamo "riciclare" parte della difesa a corto raggio - artiglierie antiaeree, Aster a corto raggio, Stinger e altri manpads - ma sono soluzioni ponte, non l’ideale. Occorrono acquisizioni dedicate, stock di effettori economici, guerra elettromagnetica distribuita e procedure chiare. Anche i droni intercettori promettono ottimi risultati. In Ucraina li stanno usando da mesi con successo.

Che quadro emerge dagli stanziamenti italiani più recenti?

Parliamo di cifre che temo non siano sufficienti. Per i droni mini e micro, nell’ultimo documento programmatico della Difesa parliamo di una traiettoria che porta a circa 118 milioni fino al 2035, ovvero all’incirca 10–11 milioni l’anno: troppo poco per capacità diffuse e stock sufficienti. Il nodo non è solo comprare "scatole": è integrare tecnologia, addestramento, concetti operativi e procedure. Sono percorsi che richiedono anni. Oggi siamo indietro, ed è un problema generalizzato in Europa.

La lezione dell’episodio polacco, in una frase.

Che l’Alleanza sa reagire in fretta, ma non possiamo bruciare missili da milioni contro esche da poche migliaia. E che persino pochi attacchi Owa (one way attack, cioè con droni kamikaze) ben orchestrati possono prosciugare in fretta le riserve di missili terra-aria e aria-aria degli alleati, aprendo finestre per attacchi successivi. Servono investimenti seri, sminuire il rischio è illusorio e pericoloso. (di Giorgio Rutelli)

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