
Da Christian Lacroix a Vivienne Westwood, da Jean Paul Gautier a Rick Owens, Yohji Yamamoto e Rey Kawakuko, tutti sedotti dallo stile 'gotico' e dai look diabolici. Fonte di ispirazione per l'inglese Alexander McQueen la letteratura vittoriana e le opere di Edgar Allan Poe, collezioni costruite tra opposti esistenziali, horror e romanticismo, luce e oscurità, sesso e morte
Il volto oscuro della bellezza nell'arte e nell'abbigliamento. Esce con la casa editrice l'Ancora 'La Morte e la Moda. Dall'Eden ai nostri giorni' scritto da Sara Paci Piccolo, docente (Polimoda di Firenze, Fashion Institute of Technology di New York) consulente, autrice di saggi su temi legati all'arte, all'iconografia, all'abbigliamento. "Un intreccio 'fatale' quello tra Moda e Morte in cui l'autrice del libro - spiega l'introduzione al saggio- ci sprona a cercare le radici e le influenze nella nostra vita quotidiana. Fino ad un passato non troppo lontano i soggetti macabri, nell'arte, ma anche nella quotidianità, erano esperienza comune. Dalle 'danze macabre' medievali alle moderne raffigurazioni horror dei film, nei comics, nella moda naturalmente, l'autrice ricostruisce l'evolvere della concezione della morte nel suo legame profondo con il corpo".
Il testo, corredato da numerose foto a colori, si divide in 16 capitoli, ricchi di citazioni, di rimandi e approfondimenti tematici. La Bibbia e la Genesi, la letteratura e i nuovi media, da Giacomo Leopardi ('Dialogo tra la Morte e la Moda' ) a Baudelaire, Edgar Allan Poe, Mery Shelley, Oscar Wilde con il 'Ritratto di Dorian Gray' ('il romanzo - scriva l'autrice - riflette sull'immagine pubblica e privata, sulla bellezza esteriore e quella interiore, sul ruolo dell'arte e della morale, tutti temi che ebbero certamente un peso importante nella sua vita'). Un libro dotto e sapiente che accumula riflessioni sui rapporti tra moda, arte, vita e morte. Dal 'Settimo Sigillo' di Bergman al 'Gattopardo' di Visconti, da 'All That Jazz' di Bob Fosse a 'Terminator' di Schwarzenegger a 'La morte ti fa bella' di Zemeckis.
Ma è soprattutto la 'couture' il cuore dell'importante saggio. Si parte dalla Genesi, dove l'abito per Adamo e Eva significa nascondere la propria 'vergogna', la propria disubbidienza, fino alla Commedia dantesca tra immagini e simboli ('Nel Purgatorio - ricorda Sara Paci Piccolo - anche papa Adriano V aveva constatato quanto pesa il 'gran manto papale' se lo si vuole preservare dal 'fango', ovvero dalla corruzione), alle raffigurazioni della Morte nel Medioevo, scarne, scheletriche, senza orpelli nella loro disperata nudità. Il XIV e il XV secolo vedono, invece, la nascita del self made men, banchieri, letterati, artisti, mercanti, ognuno di loro vorrebbe cambiare il mondo, ma soprattutto il proprio destino. Scrive la storica e studiosa nel libro: "Daranno grande importanza all'apparato e allo stesso tempo saranno anche consapevoli del rischio di fallire e di cadere nel peccato. Per questo investiranno grandi risorse e energie per la salvezza della propria anima, costruendo chiese e oratori, commissionando o realizzando arte a soggetto religioso".
L'abito come bellezza assoluta, dunque, sfoggio di opulenza e ricchezza, a volte inviso alla Chiesa. Come denunciava san Bernardino da Siena, '... io dico che quando una città si veste in questo modo, ella può aspettare il giudizio di Dio', che nel rapporto morte/ apparenza/caducità ha incuriosito o orientato negli anni anche le collezioni di due marchi storici come Alexander McQueen e Gucci. E se 'La morte e la Fanciulla' non è solo una struggente composizione di Franz Schubert, che ha dato vita a creazioni coreografiche memorabili e indimenticabili film, nell'haute couture il XX secolo ha immaginato spesso fanciulle dal trucco dark e incombente, con una sensualità decisa e prepotente, una femme fatale che l'attrice Theda Bara aveva sdoganato sul suo proprio corpo. Capelli neri, corpo sottile, occhio drammaticamente segnato dall'eyeliner a sottolineare il pallore del volto.
Un'immagine di musa 'mortelle', maliarda che ha incantato e sedotto, tra gli altri, Christian Lacroix e Vivienne Westwood, Jean Paul Gautier e Rick Owens, Yohji Yamamoto e Rey Kawakuko. Ricorda Sara Paci Piccolo: "Sono stati tra i designer più affezionati allo stile goth e le loro collezioni hanno sfoggiato corsetti, marsine, stivali pesanti e stivaletti vittoriani, svolazzanti camicie di seta nera, inquietanti abiti di seta rossa, pizzi neri illuminati di jais nero e bianche gorgiere di pizzo". Ma la Morte sa influenzare anche stili di vita e abbigliamento a partire dal XVI secolo. Dopo la scomparsa del marito, Enrico II di Valois, ucciso durante una 'giostra' a Parigi Caterina de' Medici sceglierà per i suoi abiti un unico, identico colore, il nero, come del resto farà qualche secolo più tardi, la regina Vittoria d'Inghilterra, dopo la morte del principe Alberto, inconsapevolmente creando un vero e proprio 'trend' con la richiesta a celebri orafi di realizzare gioielli con le ciocche del marito defunto.
Il concetto del 'memento mori' non poteva non condizionare l'haute couture contemporanea. Carlos Diez ha fatto sfilare a Madrid per l'autunno -inverno 2010-2011 il teschio come elemento portante della collezione, qualche anno dopo (2018) la maison Dior ha firmato un serie di gioielli 'Tete de Mort', mentre Alessandro Michele (Gucci Cruise 2019) ha dedicato i suoi abiti, ma anche borse, pantaloni, occhiali, T-shirt, cappucci, alla morte ('ricordati che devi morire'). Ossa, teschi, scheletri, scritte 'macabre' e tessuti solo neri, così diverso da John Galliano che per la maison Martin Margiela (alta moda P/E 2024) aveva immaginato ossa e rotule sotto strati di tulle con raffinate lavorazioni sartoriali. Anticipatrice di quella che negli anni si è trasformata in una vera e propria passione per i look 'diabolici' fu dame Vivienne Westwood, che nel 1972 con il 'socio' Malcolm McLaren scelsero per l'apertura della boutique in King's Road 430 a Londra, come marchio proprio un teschio con le tibie incrociate.
Fonte di ispirazione per l'inglese Alexander McQueen (morto suicida l'11 febbraio 2010 all'età di 40 anni) la letteratura gotica vittoriana e le opere di Edgar Allan Poe, collezioni costruite tra opposti esistenziali, horror e romanticismo, luce e oscurità, sesso e morte. L'autrice cita un'intervista di McQueen: 'E' importante guardare alla morte perchè la morte è parte della vita. E' la fine di un ciclo, tutto deve finire, dà spazio a nuove cose'. Ancora teschi e morte nelle collezioni dei maggiori couturier internazionali, come la giapponese Rey Kawakubo, stilista per il marchio 'Comme des Garcons', Yohji Yamamoto che li rivisita sconfinanti sui toni del grigio, del rosso, del blu, del giallo, Thierry Mugler con i suoi 'zombie boy' che riproducevano in dettaglio l'apparato scheletrico e muscolare.
Un colore il nero, amatissimo tra i nobili spagnoli e a corte, tra il XVI e il XVIII secolo, mentre in Francia, dinanzi ai principi Valois le signore avevano l'obbligo di vestirsi di nero, ricami, pizzi e merletti compresi. Di bianco erano ammesse solo le perle. E il nero ritorna come 'divisa' per gli stilisti e i grandi couturier. Apparentemente un colore anonimo, ma potrebbe essere considerato anche come una sorta di 'exit strategy', al 'di sopra di ogni sospetto' confessò Giorgio Armani, 'confortevole, neutrale, la tua personalità rimane nascosta', disse in una intervista Miuccia Prada. L'ultima parola all'autrice, Sara Paci Piccolo: "il nero... non solo per comodità, ma anche perchè il vestirsi di nero consente di essere allo stesso tempo sufficientemente anonimo e sufficientemente distinguibili dagli altri, permette di liberarsi dalle aspettative altrui per quel che riguarda la creatività e alleggerisce dalle preoccupazioni di pensare al proprio abbigliamento dopo che per ore, mesi, anni si è pensato all'abbigliamento altrui".