Cittadinanza, Brutti (Iure sanguinis): "Corte sembra segnalare incostituzionalità legge 2025"

Il Tribunale di Torino ha già sollevato questione di legittimità costituzionale sulla riforma del 2025 e l'udienza è fissata per l'anno prossimo nel mese di febbraio.

Cittadinanza, Brutti (Iure sanguinis):
31 luglio 2025 | 17.36
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"La Corte costituzionale con la sentenza 142 appena depositata si è pronunciata sulle richieste di alcuni giudici di inasprire, tramite un giudizio manipolativo, i requisiti per accedere alla cittadinanza per discendenza (iure sanguinis). Pur respingendo le questioni di incostituzionalità della legge 91/1992, la Corte è stata molto attenta a non sbilanciarsi sul nuovo decreto legge 28 marzo 2025 n. 36, convertito con modifiche legge 23 maggio 2025 n. 74, che ha rivoluzionato la materia". Lo dice all'Adnkronos Nicola Brutti, professore di Diritto privato comparato presso l'Università degli Studi di Padova, membro del collegio difensivo di Agis nel giudizio costituzionale e socio onorario dell'associazione di giuristi Iure Sanguinis che intravede in alcuni passaggi della sentenza "una certa impostazione sui criteri che devono presiedere all'acquisto e perdita della cittadinanza e che si concentrano soprattutto sui requisiti linguistici, culturali e territoriali".

A parere di Brutti, autore nel 2021 del libro 'Identità e cittadinanza tra Brasile e Italia', "sembra quasi che la Corte voglia implicitamente segnalare un'estraneità dei criteri adottati nel nuovo decreto legge rispetto ai parametri costituzionali". Il che potrebbe essere rilevante tanto più che il Tribunale di Torino ha già sollevato questione di legittimità costituzionale sulla riforma del 2025 e l'udienza è fissata per l'anno prossimo nel mese di febbraio. Quali erano i vecchi criteri nella legge del 1992? "Erano sostanzialmente quelli della discendenza diretta da cittadino italiano - risponde l'esperto - Quelli nuovi pongono infatti al centro una richiesta di esclusività della cittadinanza italiana dell'ascendente, oppure chiedono che il genitore sia stato residente in Italia per almeno due anni consecutivi, successivamente all'acquisto della cittadinanza italiana e prima della nascita del figlio, ponendo quindi importanti restrizioni anche a danno dei minori. Dunque, mentre per le cause già pendenti si continuerà ad applicare la precedente disciplina, per il futuro occorre confrontarsi con i requisiti molto più restrittivi, addirittura punitivi, del nuovo decreto su cui la Corte non si è sbilanciata troppo visto che non rientrava nel thema decidendum".

Ci sarebbero però, secondo il professore di Padova, almeno due passaggi della sentenza, in cui si colgono segnali che potrebbero implicitamente indicare un orientamento sensibile alle critiche di incostituzionalità della nuova legge 2025: "In primo luogo, la Corte evidenzia come dalla Costituzione possano desumersi puntualmente importanti indici, quali comunanza culturale, linguistica e territoriale, ma allo stesso tempo si delinei un'idea di comunità aperta, basata su principi pluralisti e che tutela le minoranze. Questi - spiega - dovrebbero essere i criteri su cui basare costituzionalmente l'acquisto (e la perdita) della cittadinanza". Il riferimento in sentenza dei giudici costituzionali a 'criteri del tutto estranei' potrebbe quindi "calzare a pennello proprio per il Dl 2025, che ha mirato a far perdere retroattivamente la cittadinanza ai cittadini già nati all'estero sulla base del mancato possesso della cittadinanza 'esclusivamente' italiana degli ascendenti. Discriminando chiunque abbia una doppia cittadinanza (bipolidia) rispetto a chi possieda solo quella italiana". "E questa - rimarca il giurista - parrebbe una soluzione del tutto inusitata e contraria proprio a quella visione pluralistica e di tutela delle minoranze cui la Corte fa riferimento".

Dubbi sulle nuove norme si desumerebbero in secondo luogo anche dal "puntuale richiamo alla disciplina dell'Ue che costituirebbe un ulteriore limite alla discrezionalità del legislatore, proprio rinviando ai precedenti della Corte di Giustizia. Quest'ultima 'è così pervenuta a censurare discipline statali - si legge nella sentenza - che determinavano la perdita dello status civitatis nei confronti di uno Stato membro e, di riflesso, nei confronti dell’Unione europea'. In particolare, la Corte sottolinea che le norme contenute nei Trattati sono contrarie a discipline che non consentano, 'in nessun momento, un esame individuale delle conseguenze determinate da tale perdita, per gli interessati, sotto il profilo del diritto dell’Unione'". In terzo luogo, conclude il giurista, dalla sentenza costituzionale si evincerebbe che "la riforma del 2025, nell'imporre una cosí rilevante restrizione ai diritti fondamentali e alla cittadinanza, prevede un meccanismo di perdita che opera in maniera indistinta e collettiva; quindi si esporrebbe ad incompatibilità con i principi del Trattato Ue, soprattutto sotto i profili della proporzionalità e ragionevolezza". (di Roberta Lanzara)

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