
L'attrice è la protagonista del film in concorso di Leonardo Di Costanzo, da oggi nelle sale con 01 Distribution
"Con 'Elisa' ho imparato ad ascoltare le storie, i tabù e anche le cose che non vorresti mai sentire per capirle al di là del giudizio e della condanna che si deve scontare. Per quella poi c'è una pena". Così all'Adnkronos l'attrice Barbara Ronchi, protagonista del film in concorso 'Elisa' di Leonardo Di Costanzo. Il film si ispira agli studi dei criminologi Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, che da anni conducono ricerche sull’agire violento e sugli autori di crimini efferati, compresi quelli non derivanti da marginalità sociali, né da patologie psichiatriche. Ronchi nel film interpreta Elisa, 35 anni, in carcere da dieci, condannata per avere ucciso la sorella maggiore e averne bruciato il cadavere, senza motivi apparenti. Sostiene di ricordare poco o niente del delitto, come se avesse alzato un velo di silenzio tra sé e il passato. Ma quando decide di incontrare il criminologo Alaoui (Roschdy Zem) e partecipare alle sue ricerche, in un dialogo teso e inesorabile i ricordi iniziano a prendere forma, e nel dolore di accettare fino in fondo la sua colpa Elisa intravede, forse, il primo passo di una possibile redenzione.
"Elisa non è un mostro, i mostri sono nelle favole e nei luoghi immaginari. Lei è una persona normale, come tante, che viene agitata da sentimenti che possiamo riconoscere ma che non riescono a fermarsi. Il problema è non comprendere completamente sé stessi e le emozioni che ti agitano. Ed è quello che poi ti porta a commettere azioni, anche estreme. A non vedere la luce e una possibilità di salvezza per te" e "l'idea di fallimento è assolutamente legata a questo: nel momento in cui ci si sente dei perdenti e allora lì che inizi a pensare che tutto deve finire". Per l'attrice, "finché noi vedremo i mostri come personaggi mitologici, non faremo mai i conti con quello che accade nella società". Anche per Di Costanzo, Elisa non è un mostro: "È tutto il contrario. Noi ascoltiamo storie terribili tutti i giorni e tendiamo a incasellare queste persone in categorie mostruose o psichiatriche, che è un modo per allontanarle da noi e non farci porre delle domande". Come si dice nel film "se li consideriamo mostri, rimaniamo immobili".
Il regista riflette poi sul male, che oggi si cela dietro la normalità: "È stato proprio questo uno dei motivi che mi ha spinto a fare 'Elisa'. Se il male irrompe nella vita delle persone ordinarie - riflette Di Costanzo - vuol dire che ognuno di noi è un po' esposto" e questo "dovrebbe spaventarci tutti". Questa "idea del male che si insinua in esistenze fino a quel momento pacifiche, a me personalmente mi fa porre molte domande e penso che dovremmo porcele tutti". Elisa, non è un carnefice ma un essere umano in tutte le sue fragilità e contraddizioni: "Spesso, mi sono posto la domanda se il rappresentarla nella sua umanità potesse generare empatia. È stata la mia preoccupazione durante la costruzione di questo personaggio", dice Di Costanzo. "Ma penso che sia una fisarmonica, in certi momenti aderiamo e in altri prendiamo le distanze". "Elisa vorrebbe scomparire - spiega Ronchi - vorrebbe non aver mai fatto quell'azione estrema e desidererebbe un'altra vita", però "si dà la possibilità di scendere in profondità dentro sé stessa e capire chi è senza darsi alibi o giustificazioni", conclude.