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Taiwan, Sisci: "Con Pechino non vedo tensioni eccessivamente preoccupanti"

navi Taiwan
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10 gennaio 2024 | 13.31
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"Non si vedono elementi di tensione eccessivamente preoccupanti" tra Pechino e Taipei alla vigilia del voto a Taiwan, né sembra esserci "alcuno scostamento rispetto a dichiarazioni passate" nella preventiva 'messa in guardia' cinese a Washington in occasione dell'incontro di lavoro tra funzionari della Difesa di Pechino e colleghi americani. A dichiararlo è il sinologo Francesco Sisci, per il quale l'appello a smettere di armare Taiwan, la richiesta di non riconoscerne l'indipendenza e la conferma che non ci sarà alcuna concessione di Pechino su questo "sono di routine: non c'è né in più né in meno rispetto alla posizione cinese del passato". Interessante semmai è il fatto che siano "ripresi i colloqui militari tra Cina e Stati Uniti interrotti da 4 anni, e proprio alla vigilia del voto di Taiwan, come se le parti volessero assicurarsi che non ci sarà escalation e che la situazione bilaterale è sotto controllo".

"Non vedo un eccesso di minaccia rispetto alle altre volte da parte della Cina che certo, continua a mantenere il suo punto, e cioè che una riunificazione con Taiwan dovrà avvenire. Ma non ci sono minacce di uso della forza, né ultimatum temporali: non si sa quando dovrebbe verificarsi questa riunificazione", osserva l'esperto, parlando con l'Adnkronos.

Quanto al voto in programma sabato "vedremo cosa succederà: dovrebbe vincere il candidato del Partito democratico progressista, cioè quello 'più anti-Pechino', ma non sembra che nelle sue carte ci sia la voglia di fare strappi nella forma di una dichiarazione formale di indipendenza. Il punto è che Taiwan è indipendente de facto ma de jure è parte di un'unica Cina quindi se dichiarasse l'indipendenza certamente sarebbe uno strappo", spiega ancora il politologo.

Gli americani comunque, osserva Sisci "hanno dichiarato che non sosterranno una dichiarazione unilaterale di indipendenza formale di Taiwan. Questo, in aggiunta al fatto che in realtà il partito comunista cinese e il Kuomintang - che ha governato l'isola per decenni - sono figli di uno stesso padre, Sun-Yat sen, e hanno rapporti di pace, guerra e colloqui da oltre 100 anni, mi fa pensare che le due parti possano controllare bene le tensioni, quella che si chiama la 'brinkmanship'. Quindi non vedo oggi elementi eccessivamente preoccupanti di tensione", sottolinea.

Molto più preoccupanti intorno alla Cina "sono la questione della Corea del nord, una sorta di mina vagante, quella del mar cinese meridionale e del confine tra Cina e India", sottolinea il politologo. (segue)

"La Corea del nord preoccupa per vari motivi, da ultimo i test missilistici e il fatto che la settimana scorsa abbiamo sparato per due giorni di seguito su alcune isolette al confine con il sud e che abbiano minacciato di non voler subire altre provocazioni". Nel mar cinese meridionale, "con Filippine, Vietnam Malaysia, Indonesia, la flotta americana e ora probabilmente altre unità Nato è meno difficile che ci sia un incidente, perché ci sono tante flotte, tanti problemi e non ci sono protocolli concordati di incontro".

"E poi c'è il confine con l'India, ci sono tremila chilometri di confini non ben delineati su cui ci sono tensioni e ci sono stati scontri molto violenti anche in passato. Tra Cina e India ci sono mille problemi, quello storico con il Pakistan, la presenza maggiore cinese nello Sri Lanka, più di recente la polemica con le Maldive".

"A fine mese - ricorda in conclusione - l'India ospiterà un vertice del Quad, (l'accordo militare tra Stati Uniti, Australia, Giappone e India sostanzialmente in funzione anticinese): bisogna vedere se il Quad farà passi avanti nel coordinamento tra questi paesi e si allargherà magari alla Corea del sud, cosa possibile nel prossimo futuro".

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