Il presidente nazionale del Soccorso alpino Maurizio Dellantonio mette in guardia: "A quelle latitudini ogni cosa si fa più difficile anche se magari hai già fatto un ottomila". Il coordinatore dell'Osservatorio Nazionale Incidenti in Montagna del Cai Alberto Pirovano: "Meteo estremo"
"A quelle latitudini ogni cosa si fa più difficile anche se sei un alpinista molto esperto e che magari ha già fatto un ottomila". A parlare all'Adnkronos è Maurizio Dellantonio, presidente nazionale del Soccorso alpino e speleologico italiano, dopo la tragedia che ha coinvolto anche cinque alpinisti italiani sulle montagne del Nepal. "Sul meteo ovviamente non si ha controllo, l'unica soluzione è informarsi al meglio e per tempo e credo che, da alpinisti esperti, lo avessero fatto: ci sono bollettini meteo aggiornati ogni due ore", aggiunge Dellantonio.
E' evidente che gli alpinisti italiani, "come gli altri, sono stati sorpresi da un evento eccezionale e fuori stagione, perché questo generalmente è un periodo buono. Ma bisogna considerare che la portata dei fenomeni là, a quelle latitudini, ha poco a che vedere con quelli cui siano abituati qui. Su quelle montagne non è facile nell'emergenza scendere a valle di alcuni chilometri o di duemila metri di dislivello camminando in un metro e mezzo di neve fresca. Anche se sei al campo base che in genere è in un punto sicuro. E da quel che so, il peggio deve ancora arrivare”.
Il presidente del Cnsas è infatti in contatto con Adriano Favre, 50 anni di esperienza e per anni ex direttore del Soccorso alpino Valdostano, che si trova a Katmandu da un paio di giorni. In Nepal per accompagnare un gruppo di escursionisti - "non alpinisti", precisa Dellantonio. Visto che il meteo non lo convinceva, ha riportato tutti nella capitale nepalese da dove segue l'evolversi della situazione che sta mettendo a dura prova anche il sistema dei soccorsi. Un sistema privato – "si paga tutto" - gestito in gran parte dagli sherpa che si sono dotati di elicotteri moderni e in alcuni casi anche di piloti esperti "come il nostro Simone Moro".
"Quelle montagne le hanno solo loro e non c’è dubbio che per i nepalesi il turismo degli ottomila sia un business che attrae persone da tutto il mondo, non ci sono solo gli italiani. Oggi va di moda, compri una specie di pacchetto vacanze completo e ti portano su con l’ossigeno che è come essere ai nostri duemila metri. L’importante è seguire le indicazioni degli sherpa e rimanere sempre in coda, perché uscire anche se sei più veloce comporta dei grossi rischi”, spiega Dellantonio che avverte che per ritrovare i dispersi ci vorrà comunque molto tempo.
“Se saremo chiamati in causa come Cnsas le ricerche dovranno essere fatte necessariamente tramite il nostro ministero degli Esteri. Abbiamo già lavorato all’estero e, a che io sappia, noi italiani siamo l’unico soccorso alpino a farlo. Negli ultimi vent’anni siamo già stati sei o sette volte in Nepal per alcuni recuperi su incarico dei familiari e lo scorso anno siamo stati un mese in Pakistan per insegnare a un nucleo di loro ottimi alpinisti le nostre tecniche di soccorso in montagna. Lo stesso abbiamo fatto in Kosovo” conclude Dellantonio.
Le scalate intorno ai 6mila metri sull'Himalaya sono impegnative ma adatte anche ai non professionisti. A dirlo all'Adnkronos Alberto Pirovano, coordinatore dell'Osservatorio Nazionale Incidenti in Montagna del Cai, che, in relazione agli incedenti che hanno coinvolto gli alpinisti italiani in Nepal, evidenzia come "fattori esogeni, qual è il cambiamento meteo" possano costituire un vero pericolo in montagna. "Qui non parliamo di un problema tecnico legato all'incapacità degli alpinisti", specifica.
"Quello attuale - spiega Pirovano - è il periodo post-monsonico in cui le salite intorno agli 8.000 metri sull'Himalaya sono terminate, ma restano accessibili quelle a quote più basse (circa 6.000 metri). Dobbiamo, però, fare i conti con il cambiamento climatico che porta a fenomeni meteo estremi. Quindi in montagna possono verificarsi eventi assolutamente straordinari, con fortissime precipitazioni in poco tempo (come quello che si è registrato di recente in Nepal), per cui diventa un pericolo rimanere intrappolati tra la neve. Anche per chi, nel caso, rimanesse in tenda. Perché gli incidenti in montagna non sono per forza legati alle valanghe".
In vista di una salita, "sebbene l'unico elemento utilizzabile sia la previsione meteo, questa va, tuttavia, gestita con una certa consapevolezza e attenzione - suggerisce Pirovano- Nessuna lettura alla lettera: nel giro di qualche ora una perturbazione può evolvere velocemente verso scenari rischiosi. Occorre, dunque, non dare per scontato che i fenomeni possano accelerare rispetto al modello matematico letto in precedenza". Gli incidenti in Nepal "sono avvenuti su montagne che vengono scalate anche da non professionisti, non hanno delle difficoltà tecniche estreme se non per l'alta quota - aggiunge - Non sono certo montagne per principianti, ma sono sicuramente scelte dagli appassionati che hanno già un certo livello".
La morte in Nepal degli alpinisti italiani dimostra ancora una volta che "in alta montagna il rischio zero non esiste". A dirlo all'AdnKronos è lo scrittore Paolo Cognetti, premio Strega nel 2017 con il romanzo 'Le otto montagne'. "Oggi, con l'accuratezza delle previsioni del tempo, eventi come quelli che sono accaduti sono fortunatamente molto rari. Però quello che è successo è la dimostrazione che in alta montagna l'assenza di rischio non esiste", ribadisce Cognetti. Appassionato di montagna, autore nel 2021 de 'La felicità del lupo' e nel 2023 di 'Giù nella valle', Cognetti aggiunge: "Siamo tutti vicini a queste persone e alle loro famiglie. Il pensiero, però, è che erano dove desideravano essere, facendo quello che amavano fare. Non c'è da personificare la montagna né con una divinità né con un'entità amica o nemica dell'uomo".
"L'alta montagna - riflette lo scrittore - non è altro che un luogo molto pericoloso e molto bello. Per alcuni di noi è un posto molto affascinante proprio perché è così difficile da raggiungere ed è così estremo nella sua durezza ma anche nella sua purezza. Soprattutto, più si va in alto più si va in luoghi difficili dove arrivano meno persone. Anche questo è qualcosa che rende l'alta montagna un posto speciale. Sembra quasi fuori dal mondo, quasi non sfiorato dal genere umano che invece è arrivato un po' dappertutto a lasciare le sue tracce. Lassù abbiamo la sensazione di essere in un luogo puro e ancora intatto come se fosse rimasto così dai tempi della creazione".
"Il pericolo - osserva Cognetti - fa parte dell'alta montagna, questo gli alpinisti lo sanno benissimo. Sanno di fare qualcosa che può mettere a rischio la loro vita. L'alpinismo è un equilibrio molto difficile tra coraggio e prudenza: se una persona non fosse coraggiosa non lo praticherebbe ma se uno non fosse prudente non tornerebbe a casa. E quindi è sempre sul filo tra quanto si può osare e quanto invece si deve ascoltare l'istinto di sopravvivenza che ci spinge a tornare giù e metterci al sicuro. Quella dell'alpinismo - conclude Cognetti - è una pratica molto vicina all'esplorazione che sembra appartenere a un'epoca romantica ormai finita da un pezzo. Gli alpinisti sentono dentro di loro lo spirito di esplorazione, avventura, ricerca del proprio limite. Vivono di queste emozioni: l'alpinismo non è tanto una ricerca di prestazioni ma una ricerca di stati d'animo che qualcuno di noi riesce a trovare lassù".