Estorsioni con metodo mafioso, figlia e genero di Totò Riina andranno in carcere

La Cassazione ha rigettato il ricorso contro la decisione del Riesame che aveva accolto l'appello della Procura

Maria Concetta Riina nel 2012 - Fotogramma /Ipa
Maria Concetta Riina nel 2012 - Fotogramma /Ipa
16 ottobre 2025 | 22.27
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La Cassazione ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere per Maria Concetta Riina e il marito Antonino Ciavarello, rispettivamente figlia e genero del defunto boss di Cosa Nostra Totò Riina, indagati dalla procura di Firenze. I supremi giudici della seconda sezione penale questa sera hanno rigettato il ricorso presentato dal loro difensore, confermando così la decisione del Tribunale del Riesame di Firenze che aveva accolto il ricorso della Procura sul carcere. I due sono indagati per estorsione aggravata dal metodo mafioso e tentata estorsione, reati commessi in concorso ai danni di due imprenditori toscani. Secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbero rivolto reiterate richieste di denaro, accompagnate da toni minacciosi e intimidatori tali da indurre almeno una delle vittime a cedere e consegnare una somma di denaro.

Nel periodo oggetto dell’inchiesta, Ciavarello si trovava già ristretto in un penitenziario, da dove sarebbe comunque riuscito a inviare messaggi alla moglie e a una delle persone offese, utilizzando un telefono cellulare non autorizzato. La procura aveva appellato la precedente decisione del gip che aveva respinto la richiesta di misura cautelare. Il Tribunale del Riesame, accogliendo l’appello ha invece riconosciuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, oltre alla configurabilità dell’aggravante mafiosa. Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotte dal Ros dei Carabinieri di Firenze, hanno preso avvio nell’agosto 2024, quando gli indagati iniziarono ad avanzare le prime richieste estorsive. Alla luce della decisione della Cassazione la misura diventa ora esecutiva per Maria Concetta Riina e per il marito Antonino Ciavarello, attualmente detenuto per altra causa.

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